GENOVA

"Progetto d'altri tempi e interventi di conservazione carenti"

Cristina Zanini Barzaghi, municipale di Lugano e ingegnere civile, spiega quali possono essere i motivi del crollo del viadotto Morandi a Genova

16 agosto 2018
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Invecchiamento del calcestruzzo, corrosione, cedimento delle fondamenta, aumento del traffico e autocarri sempre più pesanti. Sono molti i fattori che possono determinare l’indebolimento di una struttura in cemento armato precompresso come quella del viadotto Morandi di Genova, costruito con tecniche ritenute innovative negli anni Sessanta, ma presto abbandonate perché rivelatesi problematiche. Soprattutto per la manutenzione: gli stralli (i cavi che reggono il piano stradale) ‘annegati’ nel calcestruzzo ne rendono difficile l’ispezione e la tecnica di edificazione con travi prefabbricate espone la struttura alla corrosione in corrispondenza delle giunture.

A spiegarcelo è Cristina Zanini Barzaghi, municipale di Lugano, ingegnere civile nonché ex docente di strutture in calcestruzzo alla Supsi. Per lei quanto successo martedì nel capoluogo ligure è un connubio tra i problemi derivati da un progetto d’altri tempi e interventi di conservazione carenti. «La prima cosa che ho pensato – rileva – è che ci devono essere state delle gravissime mancanze nella manutenzione». Perché, aggiunge, un’opera tenuta sotto osservazione e costantemente revisionata non genera problemi, anche se concepita con tecniche datate. Come quelle del ponte di Genova: «Il piano stradale è composto da travi collegate con cerniere “Gerber”, il tutto tenuto in sospeso da pochi stralli obliqui avvolti in un bauletto di calcestruzzo e appoggiato su pile a cavalletto molto snelle. Un sistema costruttivo efficiente ed economico, ma capace di generare non pochi problemi. Inoltre il cedimento puntuale di uno degli elementi può provocare un collasso improvviso a catena». Cosa che sembrerebbe essere avvenuta martedì.

Un incidente che in Svizzera non potrebbe avvenire, viste le norme di costruzione in vigore: «Da noi, laddove ci sono elementi particolarmente importanti per la stabilità generale, si devono prevedere delle ridondanze», precisa Zanini Barzaghi. In altre parole, tutti gli elementi di un ponte devono essere concepiti per riuscire a sopperire a eventuali cedimenti. «Bisogna fare in modo che le forze, sia dovute al traffico, sia agli agenti atmosferici, rimangano sempre al di sotto delle resistenze minime dei materiali e concepire gli elementi costruttivi interagenti in modo che contribuiscano alla stabilità complessiva. Chi non è ingegnere, pensa spesso che le riserve che impongono le norme siano eccessive. Così non è: il crollo di Genova lo dimostra». La validità del concetto di “ridondanza”, peraltro, «è stata testata nel 1987 quando un pilone del viadotto della A2 a Wassen si abbassò di due metri a causa dell’erosione delle fondamenta da parte della Reuss senza per questo far crollare la struttura». In ogni caso, rileva ancora Zanini Barzaghi, «crolli improvvisi come quello di Genova sono molto rari e causati dalla somma di diversi fattori, non sempre tutti chiaramente prevedibili». Eppure, nel caso specifico, i problemi derivati dalla tecnica costruttiva avrebbero «dovuto essere individuati e corretti da tempo con interventi anche molto pesanti. Come abbiamo fatto in Svizzera». A volte anche a costo di sostituire l’intero manufatto, come avvenuto ad esempio «per il viadotto delle Cantine sull’autostrada A2 in prossimità di Capolago».

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