È la conseguenza del divieto assoluto di abortire introdotto nel 1998 dal governo di estrema destra. Le pene vanno dai 30 ai 50 anni
Hai 19 anni, rimani incinta durante una violenza sessuale, decidi di proseguire comunque la gravidanza. Passa qualche mese, e perdi il feto a causa di un’emorragia sul posto di lavoro. Ma per la giustizia di El Salvador non sei una vittima: sei una criminale. È così che Maira Verónica Figueroa Marroquín, governante, si è beccata trent’anni di carcere nel 2003, con l’accusa d’avere provocato volontariamente l’aborto. È uscita l’altroieri, a 34 anni, dopo che la Corte Suprema di Giustizia le ha concesso una riduzione della pena, giudicandola “eccessiva e immorale”.
Attualmente, nelle carceri salvadoregne sono detenute 26 donne per aborto spontaneo (una ventisettesima, Teodora del Carmen Vásquez, è stata rilasciata in febbraio dopo 11 anni di reclusione, e ha potuto rivedere un figlio ormai quattordicenne). Secondo quanto riporta un’analisi de ‘Il Post’, il codice penale di El Salvador considera illegale qualsiasi tipo d’interruzione di gravidanza: anche se si è state stuprate, anche se all’epoca delle violenze si era bambine, anche se il feto è gravemente malformato o la gravidanza mette a rischio la vita. E i casi di interruzione spontanea sono spesso trattati dai giudici alla stregua di aborti volontari.
La legge prescrive una condanna da 2 a 8 anni di reclusione per un aborto, ma in realtà il capo d’accusa diventa spesso quello di omicidio aggravato, con pene fra i 30 e i 50 anni. Il risultato: 49 condanne fra 2000 e 2011, 26 per omicidio. L’ultima sentenza per aborto spontaneo (30 anni) risale per ora allo scorso dicembre. Spesso, in casi come quelli di Figueroa e Vásquez, è il personale degli ospedali pubblici a denunciare le pazienti alle autorità (Vásquez fu arrestata ancora priva di sensi). Il divieto totale di abortire risale al 1998, ed è stato introdotto dall’allora governo di estrema destra su forti pressioni della Chiesa cattolica. L’anno successivo il diritto alla vita fin dal concepimento è stato inserito nella Costituzione. Al di là delle conseguenze giuridiche, la decisione ha generato una significativa emergenza sociale: il Ministero della salute parla di un centinaio di decessi fra il 2011 e il 2015 dovuti ad aborti clandestini (che ammontano a circa 20mila, secondo le stime, fra 2005 e 2008). Un fenomeno che interessa soprattutto i poveri, dato che chi dispone di capitali può affidarsi alla discrezione di una clinica privata. Inoltre, 1’445 bambine fra i 10 e 14 anni sono state costrette a portare a termine una gravidanza solo nel 2015.
A fine 2016, l’attuale governo di centrosinistra – guidato dal Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale (Fmln) – ha presentato un disegno di legge per consentire l’aborto in casi limitati, quali lo stupro, una grave malformazione del feto o il rischio di sopravvivenza per la donna incinta. Il problema è che il 4 marzo scorso la destra – che aveva risposto chiedendo di ufficializzare una pena di cinquant’anni per qualsivoglia interruzione di gravidanza – ha vinto le elezioni. E a meno che il disegno dell’Fmln non riesca ad essere approvato entro maggio, cosa assai improbabile, tutto rischia di restare come ora. Al momento del processo, Figueroa si era dovuta affidare a un avvocato d’ufficio assegnatole solo il giorno prima, e nessun medico legale era stato interpellato. “Ora voglio studiare diritto – ha detto la donna – per capire cosa mi è successo e aiutare altre donne”.