El Salvador

A El Salvador l'aborto spontaneo è considerato omicidio aggravato

È la conseguenza del divieto assoluto di abortire introdotto nel 1998 dal governo di estrema destra. Le pene vanno dai 30 ai 50 anni

Infografia laRegione
15 marzo 2018
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Hai 19 anni, rimani incinta durante una violenza sessuale, decidi di proseguire comunque la gravidanza. Passa qualche mese, e perdi il feto a causa di un’emorragia sul posto di lavoro. Ma per la giustizia di El Salvador non sei una vittima: sei una criminale. È così che Maira Verónica Figueroa Marroquín, governante, si è beccata trent’anni di carcere nel 2003, con l’accusa d’avere provocato volontariamente l’aborto. È uscita l’altroieri, a 34 anni, dopo che la Corte Suprema di Giustizia le ha concesso una riduzione della pena, giudicandola “eccessiva e immorale”.

Attualmente, nelle carceri salvadoregne sono detenute 26 donne per aborto spontaneo (una ventisettesima, Teodora del Carmen Vásquez, è stata rilasciata in febbraio dopo 11 anni di reclusione, e ha potuto rivedere un figlio ormai quattordicenne). Secondo quanto riporta un’analisi de ‘Il Post’, il codice penale di El Salvador considera illegale qualsiasi tipo d’interruzione di gravidanza: anche se si è state stuprate, anche se all’epoca delle violenze si era bambine, anche se il feto è gravemente malformato o la gravidanza mette a rischio la vita. E i casi di interruzione spontanea sono spesso trattati dai giudici alla stregua di aborti volontari.

La legge prescrive una condanna da 2 a 8 anni di reclusione per un aborto, ma in realtà il capo d’accusa diventa spesso quello di omicidio aggravato, con pene fra i 30 e i 50 anni. Il risultato: 49 condanne fra 2000 e 2011, 26 per omicidio. L’ultima sentenza per aborto spontaneo (30 anni) risale per ora allo scorso dicembre. Spesso, in casi come quelli di Figueroa e Vásquez, è il personale degli ospedali pubblici a denunciare le pazienti alle autorità (Vásquez fu arrestata ancora priva di sensi). Il divieto totale di abortire risale al 1998, ed è stato introdotto dall’allora governo di estrema destra su forti pressioni della Chiesa cattolica. L’anno successivo il diritto alla vita fin dal concepimento è stato inserito nella Costituzione. Al di là delle conseguenze giuridiche, la decisione ha generato una significativa emergenza sociale: il Ministero della salute parla di un centinaio di decessi fra il 2011 e il 2015 dovuti ad aborti clandestini (che ammontano a circa 20mila, secondo le stime, fra 2005 e 2008). Un fenomeno che interessa soprattutto i poveri, dato che chi dispone di capitali può affidarsi alla discrezione di una clinica privata. Inoltre, 1’445 bambine fra i 10 e 14 anni sono state costrette a portare a termine una gravidanza solo nel 2015.

Considerate se questa è una donna

A fine 2016, l’attuale governo di centrosinistra – guidato dal Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale (Fmln) – ha presentato un disegno di legge per consentire l’aborto in casi limitati, quali lo stupro, una grave malformazione del feto o il rischio di sopravvivenza per la donna incinta. Il problema è che il 4 marzo scorso la destra – che aveva risposto chiedendo di ufficializzare una pena di cinquant’anni per qualsivoglia interruzione di gravidanza – ha vinto le elezioni. E a meno che il disegno dell’Fmln non riesca ad essere approvato entro maggio, cosa assai improbabile, tutto rischia di restare come ora. Al momento del processo, Figueroa si era dovuta affidare a un avvocato d’ufficio assegnatole solo il giorno prima, e nessun medico legale era stato interpellato. “Ora voglio studiare diritto – ha detto la donna – per capire cosa mi è successo e aiutare altre donne”.

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