Estero

Amnesty: una 'retorica dell’odio' avvelena il mondo

Diritti umani: il rapporto annuale dell'organizzazione denuncia le colpe dei leader globali

E hanno pure il coraggio dichiamarli 'finti rifugiati'
((Amnesty))
22 febbraio 2018
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C’è qualcosa che accomuna il muslim ban di Donald Trump e la persecuzione della minoranza rohingya in Myanmar, l’incarcerazione di dissidenti in Turchia e i rimpatri forzati in Europa: è la “retorica dell’odio” che secondo Amnesty International “minaccia di normalizzare la discriminazione” in tutto il mondo.

Il Rapporto 2017/18 dell’associazione pubblicato oggi – una panoramica sui diritti umani in 159 Paesi – aiuta a unire i puntini. E fa emergere le responsabilità dei governanti. “La tendenza di leader e politici a demonizzare interi gruppi sulla base della loro identità ha attraversato tutto il pianeta”, nota Salil Shetty, segretario generale, e aggiunge: “i leader dei paesi ricchi hanno continuato ad affrontare la crisi globale dei rifugiati con una miscela di elusione e totale insensibilità, riferendosi ai rifugiati non come a esseri umani ma come a problemi da evitare”. Quello che emerge è il ritratto di una classe politica “riluttante ad affrontare la grande sfida di disciplinare la migrazione in modo sicuro e legale”, e per la quale “niente è vietato nell’intento di tenere i rifugiati lontani dalle coste del continente”.

Così, mentre l’Occidente sbarra porte e costruisce muri dagli Usa all’Ungheria fino in Australia, i tiranni d’altrove continuano indisturbati ad accanirsi su chi resta chiuso fuori. A spiccare in particolare è proprio il caso di 600mila musulmani rohingya, costretti a fuggire in Bangladesh in un esodo-lampo. E poi ancora la catastrofe umanitaria nello Yemen, l’uso di civili come scudi umani dello Stato Islamico in Siria e Iraq, la persecuzione di dissidenti, attivisti e giornalisti dall’Egitto alla Cina, dal Venezuela alla Turchia (dove le migliaia di arresti di presunti ‘golpisti’ avevano portato in carcere perfino presidente e direttrice di Amnesty locale). “Dirigenti quali al Sisi, Duterte, Maduro, Putin, Trump e Xi Jinping stanno violando i diritti di milioni di persone”.

E i cittadini? Amnesty constata un’e-spansione dell’attivismo. “La Marcia delle donne organizzata negli Usa – nota un comunicato dell’organizzazione – ha ispirato proteste in tutto il mondo, e dimostra l’influenza crescente dei nuovi movimenti sociali, come anche i movimenti di denuncia della violenza contro le donne e le ragazze #MeToo”. Mobilitazioni in nome dei diritti hanno animato Paesi quali Polonia, Zimbabwe e India. Ma non sempre i governati sono migliori dei governanti, e le marce xenofobe hanno innalzato un controcanto di insulti da Varsavia a Charlottesville, Usa. Intanto la promozione delle ‘fake news’ da parte di alcuni leader mondiali ha ulteriormente ottenebrato l’opinione pubblica, screditando ai suoi occhi le istituzioni che dovrebbero poter fungere da ‘cane da guardia’ nei confronti del potere.

“È il momento di reclamare l’idea fondamentale di uguaglianza e dignità di tutte le persone”, conclude Shetty. “Troppi leader nel mondo hanno permesso ai sostenitori della denigrazione di decidere l’ordine del giorno e hanno fallito nel creare una visione alternativa. È tempo di cambiare. Dobbiamo rifiutare una narrazione dei fatti basata sulla demonizzazione e costruire invece una cultura di solidarietà”.

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