Estero

Non di solo greggio vive l'Isis

16 dicembre 2015
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Mentre i raid degli Usa e dei loro alleati continuano a colpire i campi e gli impianti petroliferi in Siria e in Iraq, lo stato islamico rimpingua le proprie casse con una politica di tassazione e di confisca dei beni sempre più aggressiva.Così, come emerge da un’inchiesta del Financial Times, se dal petrolio l’Isis ha ricavato solo lo scorso anno almeno 450 milioni di dollari, altre centinaia di milioni di dollari per finanziare le proprie milizie e la propria strategia terroristica sono stati garantiti da un’imposizione che colpisce tutta la popolazione e le imprese nei territori controllati, con un’azione ai limiti dell’estorsione. Complessivamente – scrive il Ft – dalla presa di Mosul (nel giugno 2014) ad oggi gli uomini del ’califfo’ al Baghdadi avrebbero incassato circa 875 milioni di dollari. E da alcuni mesi – si racconta nel reportage – è stata introdotta la ’zakat’, una ’tassa religiosa’ che risale ai tempi del profeta Maometto e che consiste nel versare il 2,5% delle proprie ricchezze per mantenere chi combatte per la guerra santa. Dunque per pagare i salari dei militanti in prima linea in Iraq e in Siria. Ma ad essere tartassati, in particolare, sono coloro che lavorano per il ’governo’ dello stato islamico: solo nella città di Mosul l’imposta sui loro salari avrebbe garantito nell’ultimo anno entrate per 23 milioni di dollari. C’è poi la tassa sul grano e sul cotone che avrebbe generato lo scorso anno entrate per l’Isis pari a 20 milioni di dollari. A questa somma vanno aggiunti 140 milioni di dollari sui dazi che i funzionari dello stato islamico fanno pagare a tutti i camion e i mezzi che entrano dall’Iraq nei territori controllati dall’Isis. (Ansa)

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