È quanto emerge dall’annuale pubblicazione di Ubs ‘Year Ahead’. Gli anni Venti sono ruggenti per gli Stati Uniti, molto meno per l’Europa
Franco svizzero forte e dazi statunitensi. Sono queste le principali preoccupazioni degli imprenditori elvetici stilate dalla senior credit analyst di Ubs Elena Guglielmin durante la presentazione dell’annuale rapporto ‘Year Ahead’ dell’istituto bancario. «L’anno scorso – spiega l’analista – tra le maggiori preoccupazioni delle aziende svizzere c’era il reperimento di forza lavoro. Preoccupazione che rimane, soprattutto per la forza lavoro specializzata, ma che è in diminuzione». A essere aumentato, prosegue, «il timore nei confronti del franco svizzero forte, ma anche rispetto alla potenziale implementazione dei dazi statunitensi. Nel 2016, alla prima elezione di Trump, questa preoccupazione era condivisa dal 26% degli imprenditori svizzeri, oggi dal 49%».
Stando alle previsioni di Ubs, la crescita dell’economia svizzera sarà per quest’anno dell’1,5%. E questo, illustra Guglielmin, «tenuto conto dell’influenza positiva dei grandi eventi sportivi, come le Olimpiadi e gli Europei di calcio». E aggiunge: «La domanda interna è molto solida, trainata dai consumi, da una situazione del mondo lavorativo molto positiva e con una bassa disoccupazione. La domanda estera, invece, risente della debolezza a livello europeo». Esatto, perché la situazione macroeconomica svizzera si trova a metà strada tra i trend statunitense ed europeo.
Negli Stati Uniti, osserva in tal senso Matteo Ramenghi, chief investment officer di Ubs, «per descrivere il periodo cominciato con la pandemia si parla di ‘ruggenti anni Venti’». Gli Stati Uniti hanno infatti «visto una crescita fortissima del Pil, le borse sono volate e sono saliti tantissimo gli utili delle società». In altri termini, dice, «c’è stato un incrocio tra politiche fiscali molto espansive, iniziate nel 2008 ma rafforzatesi dopo la pandemia, e investimenti enormi nella tecnologia. Il che ha creato un contesto estremamente favorevole».
C’è però anche per gli States un rovescio della medaglia. «Dalla crisi finanziaria del 2008, rispecchiando un trend condiviso a livello globale, gli Stati Uniti hanno visto un aumento dell’indebitamento pubblico, che dal 2020 ha registrato un’esplosione», rileva Ramenghi. Per dare una misura, puntualizza, «dal 2000 a oggi il debito pubblico rispetto al Pil è raddoppiato, dal 60 al 120%».
Come detto, all’infuori degli Stati Uniti, non si può parlare di anni ruggenti. Soprattutto in Europa, che da ormai un paio di anni si trova in stagnazione. Che cosa non va in Europa? Per Ramenghi, le differenze con gli Stati Uniti sono molteplici: «Le politiche fiscali sono più strette, si investe molto meno nelle tecnologie e vi è una sensibilità maggiore ai tassi d’interesse elevati». Ovviamente l’attuale situazione politica non è d’aiuto. «Dopo cinque mesi tribolati – nota – si è infine formata la nuova Commissione europea, la cui maggioranza è però molto risicata». Non solo. «Le due principali economie europee, Germania e Francia, hanno diversi temi irrisolti. La Germania si trova quasi in recessione, con un governo che ha perso la maggioranza e con quindi elezioni alle porte. Ancora più complicata è la situazione politica francese, Paese che non rischia la recessione, ma che ha un deficit fuori controllo».
Una guerra commerciale globale rappresenta poi un rischio potenziale per l’Europa nel 2025, soprattutto per le economie orientate all’export. Al tempo stesso, un aumento della spesa europea per la difesa potrebbe secondo l’istituto bancario stimolare la crescita.
Guardando al futuro, stando agli analisti, nel corso dell’anno prossimo le banche centrali continueranno a tagliare i tassi d’interesse, spingendo al ribasso i ritorni sulla liquidità. Il che dovrebbe favorire gli investimenti aziendali. Per Guglielmin non si tornerà ai tassi negativi: «Riteniamo improbabile che la Banca nazionale svizzera decida per il ritorno dei tassi guida negativi. Anche perché questi ultimi hanno portato negli anni a conseguenze negative per l’economia svizzera». Quanto all’inflazione nel 2024 è diminuita più lentamente che nel 2023, ma ha continuato la sua progressione verso i target delle banche centrali.
Sotto i riflettori anche l’intelligenza artificiale, opportunità d’innovazione da cui Ubs si aspetta una crescita degli utili significativa e duratura. Ad andare incontro a una crescita notevole, anche il settore dell’elettricità e delle risorse, come pure le quotazioni dell’oro.