Economia

Lunedì nero per le borse, si invoca l’intervento della Fed

Tracollo a Tokyo, con la maggior flessione giornaliera di sempre. Molti pensano che la Federal Reserve taglierà i tassi prima di settembre

Qualcosa va storto
(Keystone)

L'uragano agostano che si è abbattuto sulle Borse mondiali non accenna a placarsi. Timori di recessione negli Usa, paura di una bolla tecnologica, una stagione delle trimestrali non esaltante, l'impennata dello yen che spiazza gli investitori e scatena il peggior tracollo di Tokyo dal 1987. Tutto sembra congiurare contro la stabilità dei mercati, che si erano crogiolati nell'illusione di una ascesa inarrestabile, alimentata dalle promesse dell'intelligenza artificiale, mentre l'economia, specialmente quella americana, si apprestava a uscire illesa dalla stretta monetaria globale, di cui finalmente si vedeva la fine. Fino a venerdì quando la secchiata di acqua gelida dei deludenti dati sul mercato del lavoro Usa, ha rimesso in discussione, agli occhi degli investitori, questo scenario.

Dopo un giovedì e un venerdì nero, le Borse hanno vissuto un'altra giornata difficile, che solo un recupero finale ha impedito di etichettare disastrosa. Al punto che il mercato ha iniziato a chiedere a gran voce un intervento di emergenza della Fed, arrivando a prezzare fino al 60% un taglio dei tassi prima di settembre.

Crollo generalizzato, anche a Zurigo

Drammatica la seduta in Asia, dove Tokyo è crollata del 12,4% e Seul dell'8,8%, con l'impennata dello yen che ha schiantato il Nikkei e creato turbolenze a livello globale, costringendo gli investitori che si erano indebitati in yen per finanziare le loro scommesse a chiudere in fretta e furia posizioni fattesi improvvisamente insostenibili. In Europa e negli Usa i listini hanno limitato le perdite nel pomeriggio dopo che l'indice Ism dei servizi americano ha segnato a luglio un rialzo superiore alle attese, alimentando le speranze di una tenuta dell'economia a stelle e strisce. Milano ha perso il 2,3%, Londra il 2%, Francoforte l'1,8% e Parigi l'1,4% mentre a gli indici di Wall Street continuano a cedere oltre il 2%.

La borsa svizzera avvia la settimana con una seduta in netto ribasso, pienamente in linea con gli altri mercati internazionali, alle prese con forti turbolenze: l'indice dei titoli guida SMI ha terminato a 11'543,25 punti, in flessione del 2,80% rispetto a venerdì. La correzione dei corsi avviata venerdì (SMI -3,6%) è proseguita in un clima nervoso e dominato da una forte attività degli investitori, che hanno preferito estromettere i valori più rischiosi dai loro portafogli per puntare su attivi maggiormente sicuri. In questo contesto si spiega anche il brusco rafforzamento del franco, che nei confronti dell'euro è salito ai massimi dai tempi dell'abolizione della soglia minima di cambio.

Occhi puntati sulla Fed

Di fronte a una turbolenza del genere il mercato ha iniziato a invocare l'intervento riparatore della Fed, accusata di aver stretto troppo forte il cappio al collo dell'economia americana. Se le scommesse di un taglio di emergenza si sono diradate, in molti chiedono vigorose sforbiciate al costo del denaro: Jp Morgan e Citi ipotizzano due tagli da 50 punti base a settembre e novembre e uno da 25 a dicembre. Queste prospettive hanno affossato il dollaro, sceso a 1,1 sull'euro e crollato del 3% sullo yen, e provocato una normalizzazione della curva dei rendimenti, ‘invertita’ dal luglio 2022. Evento quest'ultimo considerato l'anticamera di una imminente recessione.

La Fed "deve tagliare i tassi. Sono stati sciocchi a non averlo ancora fatto", ha scritto Elon Musk su X. Un taglio d'emergenza "potrebbe segnalare il panico", ha notato il nobel Paul Krugman, ma in presenza di panico vero "tale argomento perde la sua forza". Il componente della Fed, Austan Goolsbee, ha gettato acqua sul fuoco: i dati sull'occupazione per ora sono solo "un numero" e "ancora non indicano una recessione". Certo che se uno degli obiettivi della Fed - tra cui la piena occupazione e la stabilità finanziaria - fosse a rischio "dovremo reagire in modo più robusto" anche perché con un'economia in recessione "non avrebbe senso mantenere una politica restrittiva".

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