Economia

L’informazione alla prova dell’intelligenza artificiale

Gli editori digitali non sono riusciti a scalfire la leadership di Facebook e Google-YouTube. E ora la nuova rivoluzione, con strumenti come ChatGPT

Nuova rivoluzione in vista
(Keystone)

Solo cinque anni fa BuzzFeed, leader del giornalismo digitale e vincitore di premi Pulitzer e Vice con la sua rete televisiva cable, dodici siti d’informazione e i programmi realizzati per HBO e altri network, sembravano il futuro dell’industria editoriale. Vice veniva valutata dagli investitori 5,7 miliardi di dollari, quasi il triplo del New York Times, mentre Ben Smith, acclamato direttore di BuzzFeed News, liquidava il più celebre quotidiano del mondo come un dinosauro in via d’estinzione, al pari del resto della sua specie.

Oggi il Times ha quasi dieci milioni di abbonati, vale oltre sei miliardi di dollari e gode di buona salute, mentre Vice ha appena dichiarato bancarotta e BuzzFeed ha addirittura rinunciato a produrre informazione. Quanto a Ben Smith, nel suo dolente Traffic, il libro che ha appena pubblicato in America nel quale ricostruisce illusioni e delusioni dell’editoria digitale, ammette il suo errore di valutazione: non si aspettava che i dinosauri avrebbero imparato ad aprire i cancelli dei loro recinti (come in Jurassic Park).

Il falò delle illusioni

Intanto anche Vox, altro dinamico gruppo dell’informazione digitale al quale fanno capo lo stesso sito Vox, Recode, il New York Magazine e varie altre testate, è stato costretto a licenziare 130 giornalisti e tecnici. I gruppi dell’editoria digitale, convinti di poter soppiantare agevolmente i mainstream media, giornali e tv, incapaci di adattarsi al nuovo mondo delle reti sociali, devono ammettere di essere stati vittima di un miraggio. Anche la stampa tradizionale soffre, il New York Times è una delle poche isole felici, ma ha commesso meno errori dei gruppi digitali.

Cosa sta succedendo nel mondo dell’informazione? Quello che vediamo oggi è il risultato della rivoluzione delle reti sociali: un’era nella quale il giornalismo non solo ha dovuto imparare a usare tecnologie radicalmente diverse ma ha dovuto fronteggiate lo tsunami delle grandi reti sociali, da Facebook a Google-YouTube, che hanno conquistato il grosso del mercato pubblicitario, lasciando all’editoria solo le briciole.

D’ora in poi, però, vedremo altri cambiamenti rapidi e radicali per gli effetti che le nuove tecnologie dell’intelligenza artificiale avranno sul mondo dell’informazione.

Dai ‘social’ all’intelligenza artificiale

Cominciamo da quanto è accaduto nell’era dei social media. L’editoria digitale prima ha fatto investimenti troppo vasti, sostenuti dalla liquidità offerta da un venture capital alla ricerca di nuovi sbocchi per i suoi investimenti tecnologici. Ma quando, nel 2022, tutti, compresi i giganti Facebook o Google, sono arrivati a perdere metà del loro valore, anche i finanziatori hanno tirato il freno. Questi editori digitali pagano soprattutto l’illusione di poter arrivare, con fusioni ed economie di scala, a competere coi giganti di internet per quanto riguarda la raccolta pubblicitaria: non sono riusciti a scalfire la leadership di Facebook e Google-YouTube e sono stati indeboliti, anche finanziariamente, da un inutile gigantismo.

A questa patologia generale se ne sono, poi, accompagnate altre specifiche dei vari gruppi: Vice, assediata da investitori decisi a finanziarla con centinaia di milioni di dollari per partecipare alla nuova cuccagna dell’informazione digitale, ha sperperato risorse creando strutture elefantiache, mandando troupe negli angoli più remoti del mondo e ha perso credibilità davanti a un pubblico che nell’era digitale tende a diventare community quando è esploso lo scandalo degli abusi sessuali in redazione.

BuzzFeed ha commesso un errore diverso (ma comune a molti altri siti d’informazione), sintetizzato dal titolo del libro di Ben Smith: Traffic. Mentre le grandi testate giornalistiche tradizionali cercavano di ribellarsi alla prepotenza delle reti sociali che si appropriavano di gran parte del mercato pubblicitario anche sfruttando i contenuti dell’industria editoriale, ma intanto cominciavano a battere anche la strada alternativa degli abbonamenti – i lettori che pagano per avere informazione di qualità e approfondimenti – Buzzfeed ha fatto altro: si è illusa di poter raccogliere abbastanza briciole cadute dalla tavola di Facebook e Google non moltiplicando i siti, ma cercando di usare una crescente presenza sulle piattaforme di queste stesse reti sociali, usate come volano per far crescere il traffico e, quindi, le entrate pubblicitarie.

Consegnare il proprio futuro a giganti con interessi diversi si è rivelato un errore: sono bastate piccole modifiche degli algoritmi di Facebook e delle altre reti decisi per privilegiare la visione di contenuti personali, familiari, i rapporti di ogni utente con amici e colleghi di lavoro, riducendo l’attenzione per l’informazione e i fatti del mondo per far crollare i fatturato di siti d’informazione che a volte hanno visto il loro traffico dimezzato nel tempo di un click.

Giornalismo automatizzato

Oggi, comunque, tutti – siti digitali e mainstream media – devono affrontare una nuova rivoluzione: quella dell’intelligenza artificiale con strumenti come ChatGPT che, evolvendo, promettono di automatizzare il lavoro di molti giornalisti e sono particolarmente vulnerabili alla produzione di disinformazione e teorie cospirative e alla loro diffusione capillare attraverso bot mascherati da utenti in carne e ossa.

Qui la rivoluzione, sotterranea, è iniziata da tempo: alcune testate americane come l’Associated Press hanno cominciato a pubblicare articoli scritti da robot nel 2014. Ma un’attività poco più che sperimentale e limitata ad articoli sportivi e di cronaca di struttura piuttosto semplice, col rapido progresso della tecnologia è destinata a conquistare spazi sempre più ampi trasformando l’informazione e personalizzandola in modi che gli stessi protagonisti di questo mondo faticano a immaginare: tutti i maggiori editori si stanno dotando di task force per studiare rischi e opportunità della rivoluzione alle porte.

Solo un esempio che viene dal mondo dei podcast: la piattaforma di audiogiornalismo Curio sostiene di riuscire a costruire già oggi episodi personalizzati usando l’intelligenza artificiale e di poter fornire informazioni attendibili, senza le «allucinazioni» di ChatGPT, perché «addestra» il suo modello di AI solo con fonti d’informazione qualificate. Ma qui torna la questione del valore dei contenuti: per quasi vent’anni gli editori hanno subito l’emorragia di pubblicità risucchiata dalle reti sociali che, per attrarla, hanno usato (gratis) anche la loro produzione giornalistica. Ora OpenAI ha addestrato ChatGPT mettendoci dentro tutto ciò che circola in rete, compresa l’informazione giornalistica.

Barry Diller, miliardario del digitale col gruppo IAC sostiene che, lasciando l’AI libera di accedere ai contenuti giornalistici sulla base del principio del fair use (una diffusione polverizzata in rete, senza sfruttamento commerciale), gli editori commetterebbero un altro errore catastrofico: l’intelligenza artificiale, dice, è in grado di sfruttare tutto «trasformandosi in una unfair machine senza confini». E propone, insieme a NewsCorp di Murdoch e ai tedeschi di Axel Springer, una crociata per veder riconosciuto il valore economico del giornalismo usato dall’AI.

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