Economia

La tesi controcorrente di George Muzinich sull’Italia

Il fondatore di Muzinich & Co. sostiene che ‘il Belpaese ha più di un buon numero da giocare’ e che è ben posizionata rispetto a Germania e Regno Unito

‘Flessibilità, mentalità imprenditoriale e abilità nel seguire i cambiamenti’
(Keystone)

L’Italia? «È ben posizionata rispetto ad altri paesi». E il riferimento non è a qualche nazione emergente, ma niente di meno che alla Germania («l’economia dipende troppo dall’industria meccanica») o alla Gran Bretagna («in questo momento non sanno bene dove andare»).

George Muzinich, fondatore di Muzinich & Co. sostiene da tempi non sospetti le tesi controcorrente (o per lo meno contro una visione eccessivamente negativa del nostro sistema) che nelle ultime settimane hanno prodotto una seduta di autocoscienza sulla stampa britannica, con la copertina de L’Economist (Welcome to Britaly, Londra adesso è un po’ come Roma) e la risposta del Financial time (Britaly? You Wish, ovvero: vi piacerebbe, per gli inglesi assomigliare all’Italia sarebbe una fortuna).

Effetto tricolore

Secondo il gestore newyorchese, che ha da poco visitato gli uffici milanesi della sua società, «al netto dei vostri storici problemi legati alla burocrazia e all’efficienza del sistema legale, il Belpaese ha più di un buon numero da giocare». Se la bibbia dei giornali finanziari ricorda l’avanzo primario e il basso debito privato (quello pubblico, lo sappiamo, è enorme) per sottolineare le potenzialità che oggi renderebbero la nostra fragilità meno pericolosa di quella britannica, Muzinich si concentra, oltre che sulle dimensioni della ricchezza privata («quasi 5 mila miliardi, oltre diecimila con gli immobili; quanti altri Paesi possono vantare numeri simili?»), anche su «flessibilità, mentalità imprenditoriale e abilità nel seguire i cambiamenti».

Qualità che, per un investitore istituzionale focalizzato sulle piccole e medie aziende tricolori, sono molto importanti. E Muzinich lo è, con numeri di tutto riguardo nel nostro Paese. La boutique di gestione del risparmio, da lui fondata nel 1988 a New York, è attiva Italia dal 2014. Dieci dei 50 miliardi di masse in gestione fanno riferimento qui, rendendo l’Italia il primo mercato mondiale della casa, che ha 14 sedi tra Stati Uniti, Europa e Asia.

Nel giugno del 2018 è entrato nel team di Muzinich Fabrizio Pagani, che è stato a capo della segreteria tecnica del ministero del Tesoro, e che ora è senior advisor della società, guidata in Italia da Domenico Del Borrello.

Muzinich è specializzata su una singola asset class: il comparto obbligazionario corporate. Con mandati su misura e 11 fondi, distribuiti tramite partnership bancarie, ma anche con una consolidata esperienza nel campo dei private debt. Che cosa significa? «Finanziamo con una quota aggiuntiva rispetto a quella ottenuta tramite canali bancari le piccole imprese che offrono garanzia di saper creare economie diversificate e opportunità di impiego nelle loro comunità», spiega Muzinich. Se ne occupano oltre 100 gestori e analisti.

Il primo fondo di private debt in Italia risale al 2011-2012, mentre correva la difficile stagione della crisi dei Btp. Una forma di partecipazione, quella del private debt, che non prevede posti a sedere nei consigli di amministrazione (come avviene invece con il private equity e il venture capital), ma che richiede in ogni caso un’attenta expertise dei candidati. «Evitiamo, per esempio, gaming, leisure ma anche servizi turistici senza una presenza storica e consolidata», spiega ancora. Ma quali aziende scegliete? «Devono avere tre caratteristiche fondamentali: buon business, buon management e una convincente struttura finanziaria», dice Muzinich. Che non fa nomi, ma enumera alcuni settori made in Italy in cui cercare occasioni: packaging, farmaceutica, moda, alimentare.

Le tre incognite

Che cosa pensa dei tre grandi problemi attuali, l’inflazione, la guerra e la crisi energetica? «Stiamo assistendo ad una serie di comportamenti irrazionali», dice Muzinich riferendosi all’assetto geopolitico del mondo scosso dal conflitto e in cerca di nuovi equilibri. Per quanto riguarda l’inflazione, invece, occorre entrare nell’ordine di idee che veniamo da un periodo eccezionale di tassi a zero e che questo è un tempo di transizione verso una maggiore normalità. «Il costo della vita si stabilizzerà, a livelli più bassi di quelli attuali. Ma non ritornerà sotto quel 2% che le banche centrali ritengono desiderabile»», dice ancora Muzinich.

Un costo della vita più elevato e tassi ben più alti di quelli a cui eravamo abituati favorirà una minor speculazione: sui mercati si rischia di meno se il denaro non è più gratis. Vede nel futuro un intensificarsi di default aziendali? «Non credo. Tante aziende sono riuscite a rifinanziarsi a tassi molto bassi subito dopo la pandemia. Quindi il numero di quelle con l’acqua alla gola dovrebbe essere ancora sotto controllo».

Per i fondi della casa la difesa del capitale è una caratteristica fondativa. In 33 anni di attività i suoi portafogli hanno offerto uno dei più bassi livelli di default tra gli asset management specializzati sulle obbligazioni corporate (0,13% annualizzato contro il 3,32%, media di mercato).

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