Economia

Lo sviluppo del nucleare in mano allo Stato francese

Macron ha deciso di nazionalizzare il colosso energetico Edf

(Keystone)

Emmanuel Macron, il presidente accusato da molti in Francia di essere l’incarnazione del neoliberismo più sfrenato, ha deciso di procedere alla nazionalizzazione completa di Edf, il colosso dell’energia del quale lo Stato possedeva già l’84 per cento. Una scelta che era nell’aria da mesi: nazionalizzare l’azienda di un settore strategico ha perso il carattere ideologico che aveva un tempo. Quando François Mitterrand venne eletto nel 1981 e la sinistra andò al potere con un programma di nazionalizzazioni — da Rhône-Poulenc a Paribas — in Francia si diffuse il panico e molti imprenditori e investitori portarono i soldi in Svizzera o ripararono all’estero, certi che i carri armati russi avrebbero occupato place de la Concorde a Parigi come pronosticava Michel Poniatowski, ministro dell’Interno dello sconfitto Giscard. Nei decenni successivi la sinistra ha talvolta privatizzato (con Jospin e Strauss-Kahn, per esempio Crédit du Nord e Thomson) e uno dei primi atti di Macron appena entrato all’Eliseo nel 2017 fu nazionalizzare i cantieri Stx promessi dal predecessore Hollande all’italiana Fincantieri, temendo che alcune tecnologie sensibili sarebbero finite in mano ai cinesi. Avrebbe dovuto essere una mossa temporanea in attesa di ricevere maggiori garanzie dall’Italia, ma quei cantieri sono rimasti definitivamente in mano allo Stato francese.

La nazionalizzazione di Edf annunciata all’inizio di luglio dalla premier Elisabeth Borne costerà quasi dieci miliardi. Il metodo scelto non è una legge ma, per questioni di rapidità, l’acquisto del 16 per cento del capitale azionario che ancora mancava. Il ministro dell’Economia Bruno Le Maire ha detto che a settembre lancerà un’offerta pubblica d’acquisto a 12 euro per azione, per un totale quindi di 9,7 miliardi.

Lo scopo è assicurare l’indipendenza energetica della Francia rilanciando il nucleare. Dopo anni di esitazioni, il presidente Macron è determinato a investire a lungo termine nell’energia che per decenni ha assicurato il 75% del fabbisogno energetico dei francesi. Poche settimane dopo che le istituzioni europee hanno inserito l’energia nucleare nella tassonomia delle energie pulite, premiando lunghi mesi di lobbying francese, è arrivata la decisione di procedere a nuovi investimenti.

Le centrali francesi sono invecchiate, e circa la metà dei 56 reattori è ferma per manutenzione o per problemi più gravi. La centrale di Flamanville, simbolo dei costi senza controllo e della complessità di questa forma di energia, è in ritardo di oltre 10 anni e la nuova, ennesima data di entrata in servizio è fissata per la fine del 2023. E la Francia, abituata a esportare energia elettrica in Europa, è costretta a importarla dai Paesi vicini, proprio mentre la guerra in Ucraina rende vitale e indispensabile affrancarsi dalla dipendenza energetica da gas e petrolio russi.

Nuovi reattori

In questa nuova fase internazionale Macron vuole avviare la costruzione di almeno sei nuovi reattori di ultima generazione EPR2 entro il 2050, e forse altri otto. Ci vorranno 50 miliardi per i nuovi reattori, e altri 50 per la manutenzione di quelli esistenti. Investimenti giganteschi difficile da sostenere per un’impresa finora quotata in Borsa come Edf. Nazionalizzarla al 100 per cento permetterà di togliere Edf dalla Borsa e di avere le mani totalmente libere, senza più azionisti di minoranza ai quali rendere conto e senza temere le retrocessioni di Standard & Poor’s, l’agenzia di rating finanziario che si è dimostrata spaventata dall’ingente programma di investimenti di Edf.

«Nazionalizzare Edf significa dare a noi stessi tutti gli strumenti per essere più indipendenti nei prossimi anni quanto all’energia — ha detto il ministro dell’Economia e delle Finanze, Bruno Le Maire —. Si tratta di una decisione strategica, forte, necessaria per il Paese».

Una misura che era presente nei programmi elettorali delle tre maggiori forze politiche francesi: la coalizione centrista di Macron, quella di sinistra di Mélenchon e il Rassemblement national di Marine Le Pen.

La nazionalizzazione permette poi di tornare al progetto di riforma «Hercule» avviato e poi accantonato durante il primo mandato Macron. Anche per venire incontro alle esigenze di Bruxelles, il piano prevede lo spacchettamento del gruppo Edf in diverse entità, delle quali una sarà dedicata interamente allo sviluppo del nucleare.

In virtù di questa riforma lo Stato francese potrebbe presentarsi in posizione di maggiore forza ai negoziati con l’Unione europea per risolvere quella che viene percepita come un’ingiustizia da molti francesi: nonostante i tanti reattori, l’elettricità in Francia costa quanto nel resto d’Europa. «Il mercato unico dell’elettricità è aberrante, non funziona», dice il ministro Le Maire. La Francia è quasi autosufficiente e l’elettricità prodotta nel Paese è al 93 per cento frutto di centrali non fossili, ma i prezzi a livello europeo restano fissati sul corso del carbone, del gas, e della CO2. I consumatori francesi pagano l’elettricità quanto i cittadini della Polonia, che invece dipende ancora largamente dalle energie fossili. Un paradosso che Parigi vuole risolvere attraverso negoziati intensi nei prossimi mesi con Bruxelles, avendo magari proceduto alla suddivisione di Edf chiesta dalla Ue.

Se esistono queste ragioni specifiche per la salita dello Stato francese al 100 per cento di Edf, una tendenza più globale verso le nazionalizzazioni è stata favorita dalla pandemia e della crisi economica che ne è seguita. Nel 2020 in Francia si è cominciato a parlare dell’aumento della presenza dello Stato nel capitale di Edf — come poi è successo — ma anche di Air France o Renault, mentre il governo italiano nazionalizzava l’acciaieria Ilva di Taranto e le ferrovie gallesi e scozzesi passavano sotto il controllo pubblico.

Dopo la pandemia, la crisi energetica seguita all’invasione russa dell’Ucraina sta spingendo all’intervento dello Stato anche in Germania, dove il governo progetta di nazionalizzare Uniper, che era uno dei più importanti clienti di Gazprom e che adesso si trova sull’orlo del fallimento dopo l’aumento dei prezzi deciso dalla Russia.

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