La Bns lascia invariata la sua politica monetaria ultraespansiva, pur vedendo all’orizzonte un aumento dell’inflazione
Nessuna sorpresa. La Banca nazionale svizzera (Bns) lascia invariata la sua politica monetaria ultraespansiva, pur vedendo all’orizzonte un aumento dell’inflazione. Sulla scia degli scombussolamenti provocati dalla guerra in Ucraina la stima di crescita viene rivista al ribasso, ma solo leggermente. L’incertezza e i rischi sono però elevati.
Nell’ambito del tradizionale esame trimestrale della situazione economica e monetaria, infatti, la Bns ha deciso di mantenere fermo al -0,75% il suo tasso guida, il più basso del mondo. Sono confermati anche gli interessi negativi, pure loro del -0,75%, sui conti giro presso la Bns. Vale a dire quelli a carico delle banche che depositano il loro denaro presso l’istituto. La banca centrale ha anche ribadito la disponibilità a procedere a interventi sul mercato dei cambi per stabilizzare il franco. Moneta che, secondo la Bns, continua ad avere una valutazione definita "elevata".
"L’invasione russa dell’Ucraina ha accresciuto significativamente incertezza in tutto il mondo: in questa situazione la Banca nazionale, con la sua politica monetaria garantisce, la stabilità dei prezzi e sostiene l’economia svizzera", dice l’istituto guidato da Thomas Jordan. La Bns prosegue perciò nel cammino degli interessi negativi introdotti nel gennaio 2015, allora considerati una sorta di bizzarria temporanea, ma che nel frattempo sono in vigore da oltre sette anni, con ripercussioni in parecchi ambiti: non da ultimi quelli dell’immobiliare o delle pensioni. Non sono peraltro mancate le critiche: c’è chi ha parlato di un gigantesco modello ridistribuivo, un balzello deciso autonomamente dalla Bns, senza legittimità democratica.
E intanto il franco rimane forte, molto vicino alla parità con l’euro: la moneta europea stamani costava poco più di 1,02 franchi. Come noto la valuta elvetica è considerata dagli investitori un rifugio più sicuro di altri e guadagna sempre valore in tempi incerti, cosa che rende l’export elvetico più caro e ha effetti negativi sul turismo. Le indicazioni diffuse stamane alle 9.30 dalla banca non rappresentano peraltro una sorpresa: gli esperti erano unanimi nel ritenere che la Bns non avrebbe cambiato rotta. È infatti opinione largamente condivisa che prima di poter operare una stretta monetaria l’istituto debba aspettare che si muova la Banca centrale europea (Bce), i cui intendimenti non sono del tutto chiari. Intanto, invece, la statunitense Federal Reserve (Fed) ha proceduto la settimana scorsa a un rialzo dei tassi (il primo dal 2018), cui ne seguiranno altri nell’anno in corso.
La Bns può attendere. Anche perché l’inflazione è relativamente contenuta rispetto a quella di altri paesi: in febbraio era al 2,2%, contro il 5,9% dell’Eurozona e il 7,9% negli Stati Uniti. Molto attese erano di conseguenza le previsioni degli economisti dell’istituto riguardo all’evoluzione dei prezzi: l’inflazione è ora vista al 2,1% quest’anno e allo 0,9% nel 2023, in chiaro aumento rispetto ai pronostici di 1,0% e 0,6% di dicembre. Viene fornita anche una prima valutazione sul rincaro del 2024, che dovrebbe attestarsi allo 0,9%.
L’inflazione ha continuato a salire negli ultimi mesi, ricorda la Bns. Il motivo principale di tale incremento è stato il sensibile aumento del costo dei prodotti petroliferi e dei beni colpiti da difficoltà di approvvigionamento. Ma le tensioni su queste merci potrebbero protrarsi nei prossimi mesi a causa del conflitto in Ucraina.
Nel suo scenario di base per l’economia mondiale la Bns parte dal presupposto che i prezzi dell’energia rimarranno per il momento elevati, ma che le grandi aree economiche non andranno incontro a una penuria energetica acuta. Ci si attende inoltre che, nonostante la guerra scatenata da Mosca, nel complesso la ripresa della congiuntura globale proseguirà, sia pure a ritmi leggermente attenuati.
Sull’economia elvetica il conflitto in Ucraina ha finora inciso soprattutto attraverso il sostanziale aumento dei prezzi delle materie prime, che potrebbe penalizzare i consumi e far lievitare i costi di produzione delle imprese. Anche il commercio estero potrebbe risentire del conflitto, ma non in misura rilevante, in quanto i legami economici diretti della Svizzera con l’Ucraina e la Russia sono deboli. Le difficoltà nell’approvvigionamento di prodotti intermedi importati potrebbero comunque accentuarsi ulteriormente e l’incertezza potrebbe avere effetti avversi sull’attività di investimento.
La crescita elvetica subirà un temporaneo rallentamento, per poi tornare ad accelerare: il Prodotto interno lordo (Pil) dovrebbe salire di circa il 2,5% per quest’anno, a fronte del valore di "circa il 3%" stimato tre mesi or sono. La disoccupazione dovrebbe ancora diminuire leggermente.
Questo è lo scenario base, si diceva. Ma la Bns mette in guardia: l’incertezza è molto elevata. Vi sono rischi di escalation della guerra e di un ulteriore aumento dell’inflazione a livello globale a causa di un acuirsi della penuria di materie prime. Non è inoltre da escludere un nuovo aggravamento della situazione pandemica.
Per l’ennesima volta preoccupazioni giungono anche dal mercato ipotecario e immobiliare: le "vulnerabilità sono ancora aumentate", constata la banca. Su proposta della stessa, il 26 gennaio il Consiglio federale ha riattivato il cosiddetto cuscinetto anticiclico di capitale, cioè lo strumento che obbliga le banche a detenere fondi propri supplementari a copertura dei crediti ipotecari per gli immobili d’abitazione. Un fattore di sicurezza soppresso nel marzo 2020, sulla scia della crisi del Covid, proprio per dare maggiore margine di manovra alle banche nella concessione dei crediti e arginare quindi le conseguenze economiche della pandemia.