Economia

Omicron e l’inossidabile ottimismo del mercato

Per gli operatori la nuova variante può rappresentare un’opportunità: ‘Non ci sono sufficienti motivi per cambiare le nostre decisioni d’investimento’

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(Keystone)

Dopo un primo sbandamento nella seduta di venerdì 26 novembre, quando la notizia della nuova variante del Covid-19 aveva scosso i mercati finanziari, gli investitori hanno risolto che fosse troppo presto per trarre delle conclusioni. L’incertezza è grande, hanno detto, e occorre aspettare almeno due settimane per capire se questa sciagurata Omicron può fare più danni della Delta. Nel dubbio, si sono dati da fare per riportare le cose come prima. E pareva ci fossero quasi riusciti nella seduta di mercoledì, prima che una esuberante Wall Street, in crescita dell’1,9%, invertisse bruscamente rotta chiudendo al ribasso.

Non s’è ben capita la ragione di tanta instabilità. C’è chi dice sia stata la reazione alla notizia che i primi casi di Omicron avevano raggiunto gli Stati Uniti (cosa del tutto ovvia) e chi incolpa il discorso di Jerome Powell che, per la verità, non ha detto nulla di diverso da quanto affermato il giorno prima. È evidente che, tra l’accresciuto rischio pandemico e una Fed meno “colomba” del previsto, il nervosismo è tanto. Ma è ancor più forte la tentazione di approfittare di ogni ribasso per comprare azioni.

Così, nell’inossidabile ottimismo del mercato, s’è fatta strada la brillante congettura che questa nuova variante possa invece rappresentare un’insperata opportunità. Questo si sono detti a bassa voce parecchi operatori. L’idea della felice occasione era già stata accarezzata nel fine settimana da Goldman Sachs. «Non ci sono sufficienti motivi per cambiare le nostre decisioni d’investimento», avevano scritto. E avevano dipinto 4 scenari, dal mezzo catastrofico al rialzista, per far capire che Omicron rappresenta forse un «falso allarme» con «nessuna significativa conseguenza sulla crescita e l’inflazione».

Del resto anche gli investitori sondati da Deutsche Bank erano arrivati alle medesime conclusioni: per il 60% si tratterebbe di un evento di «modesta importanza», il 30% ritiene addirittura che ci dimenticheremo presto della cosa e solo il 10% pensa che Omicron possa rappresentare un serio pericolo per i mercati finanziari. Come abbiamo archiviato la variante Delta senza conseguenze (le Borse europee e americane sono cresciute del 15% circa dalle peggiori sedute dello scorso maggio), supereremo anche questa difficoltà. Potrebbe, persino, tradursi in un ulteriore rialzo per i mercati azionari, ipotizza Bill Ackman fondatore dell’hedge fund Pershing Square, alludendo alla Fed che, dinnanzi al nuovo pericolo, dovrà rivedere le sue intenzioni. Invece Jerome Powell è rimasto fermo nei suoi propositi. Anzi ha detto che il tapering (riduzione degli acquisti di titoli) verrà accelerato, che il primo rialzo dei tassi sarà nella prima metà del 2022 e, sorpresa, che l’inflazione non sembra più «transitoria» e quel termine verrà cancellato dai prossimi comunicati della Fed.

Wall Street, già preoccupata per le dichiarazioni del capo di Moderna, secondo il quale sarebbe dubbia la protezione dei vaccini per la nuova variante Covid, è stata colta dallo sconforto e l’indice, martedì e mercoledì, è ricaduto pesantemente. S’è risollevato il giorno dopo, in sintonia con la volatilità degli umori, ma si può immaginare che questa sequenza di alti e bassi sia destinata a durare per giorni, in attesa che gli scienziati ci dicano qualcosa di più sulla pericolosità di Omicron. C’è una ragione, in apparenza tecnica, che spiega la forte volatilità della Borsa americana: i bruschi ribassi e rialzi sono amplificati dall’uso preponderante di derivati (opzioni in particolare) e dal disinvolto ricorso al denaro prestato per comprare azioni, cosicché la leva finanziaria sui mercati è aumentata a livelli mai visti in passato.

Colpe e automatismi

Si dirà che è colpa dei piccoli investitori, la cui attitudine speculativa è nota da mesi: se non fosse che un’importante istituzione come Calpers (il fondo pensione dei dipendenti pubblici della California) abbia deciso di accrescere gli investimenti prendendo denaro a prestito, nella speranza di far fronte agli impegni con i suoi iscritti. Dopo oltre 12 anni di pressoché ininterrotti rialzi (e uno strepitoso volo del 600% dal minimo del marzo 2009), un’intera generazione di operatori è cresciuta nella convinzione che la Borsa debba solo salire e che le eventuali correzioni siano l’occasione per acquistare azioni.

La pandemia all’inizio dello scorso anno ha rappresentato il momento più critico, ma, grazie allo straordinario intervento della Fed e alle elargizioni del governo (come mai s’era visto in passato), la paventata recessione s’è risolta in poco più di un intoppo per i mercati.

Nell’ultimo sondaggio di Bank of America, il pericolo Covid era paventato appena dal 5% degli intervistati e persino nei periodi in cui la pandemia si riacutizzava, come nell’autunno 2020 o nello scorso febbraio, il rischio sui mercati era percepito da neanche il 30% degli investitori: meno ancora dell’inverosimile rischio di “disintegrazione dell’Eurozona” che segnalavano tra novembre 2016 e maggio 2017. L’esuberanza di Wall Street è dunque un fenomeno generalizzato e lo straordinario ricorso alla leva finanziaria ne è la conseguenza. La Fed ha finora avallato questa tendenza, offuscando la percezione del rischio, al punto che non è nemmeno detto che le prossime (eventuali) strette monetarie siano in grado di intaccare questo comportamento.

Ma, l’insolita fermezza mostrata recentemente dalla maggior parte dei membri della Fed nel procedere verso una parvenza di normalizzazione monetaria sta forse insinuando qualche dubbio nella psicologia degli investitori.

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