Economia

Inflazione, l'eterno ritorno

Nessuno si attende aumenti dei prezzi straordinari. Ma anche le ripercussioni di modesti rialzi sulle economie del mondo sarebbero sostanziali

I mercati guardano preoccupati il pacchetto da 1'900 miliardi di Joe Biden (Keystone)

Può essere l’effetto di quello che Boris Johnson chiama la prospettiva dell’«altopiano soleggiato», cioè l’ottimismo per il  post-pandemia. Possono essere i colli di bottiglia che si sono creati nelle catene di fornitura. Oppure la portata forse eccessiva dello stimolo fiscale americano. O ancora l’aumento del prezzo del petrolio e di quelli delle materie prime. E il probabile boom di molte economie dopo la recessione dell’anno scorso. Fatto sta che il dibattito e i timori per un rialzo dell’inflazione stanno prendendo il centro delle aspettative dei mercati.

Nessuno si attende aumenti dei prezzi straordinari. Se però anche rialzi modesti indicassero un cambio di stagione, le ripercussioni sulle economie del mondo sarebbero sostanziali. In alcuni casi, forse distruttive. I movimenti repentini sui tassi d’interesse dei titoli del Tesoro americani, la settimana scorsa, e la conseguente caduta dei valori di Borsa sono un segnale chiaro delle  tensioni che si stanno accumulando.

La situazione che più fa discutere è quella degli Stati Uniti. L’attesa generalizzata è che l’economia cresca a un passo molto consistente nel 2021, per recuperare le perdite del pessimo 2020, soprattutto se la campagna di vaccinazione consentirà di riaprire via via le attività e la vita normale. Quello che si domandano gli economisti è quali saranno le conseguenze sui prezzi quando, in questo quadro di boom, arriverà lo stimolo da 1.900 miliardi di dollari voluto da Joe Biden, stimolo che si aggiungerà ai fondi già stanziati in precedenza fino a portare l’immissione di denaro attorno a quattromila miliardi.

Il pericolo che si registri un’impennata dei prezzi è reso ancora più reale da una serie di altre circostanze. La prima è che, durante la pandemia, gli americani hanno risparmiato come non succedeva da lungo tempo ed è probabile che, liberati dalle restrizioni da virus, tornino a spendere con brio. La seconda è che la Fed continua a mantenere una posizione di larghezza fiscale indiscutibile: ha da poco introdotto un nuovo regime di targeting medio dell’inflazione finalizzato a fare crescere i prezzi più del 2% invece che appena sotto al 2% come in precedenza. Significa che il suo presidente, Jerome Powell, è disposto a lasciare crescere l’inflazione prima di intervenire per frenarla.

La terza circostanza, la quale non vale solo per gli Stati Uniti, è che nel mondo si sono creati colli di bottiglia nelle forniture, a cominciare dai microchip: significa che, di fronte a una domanda forte, le imprese — dall’elettronica al settore auto — potrebbero non essere in grado di rispondere, con conseguente aumento dei prezzi. Infine, il barile di petrolio ormai supera i 60 dollari e molte materie prime stanno  registrando aumenti dei prezzi significativi.

Può essere che la lettura di queste tendenze abbia portato sui mercati timori d’inflazione solo momentanei. Daniel Ivascyn — il chief investment officer di Pimlico, 2.200 miliardi di dollari in gestione — ha parlato di una «pista falsa inflazione», la quale a suo avviso crescerà ma solo temporaneamente: c’è il rischio, a suo avviso, che sui mercati si sopravvaluti il pericolo. Economisti del calibro di Larry Summers e Olivier Blanchard sono invece critici del pacchetto di stimoli da 1.900 miliardi: lo ritengono eccessivo di fronte a un’economia che di suo è in una ripresa a V e che dunque potrebbe essere spinta a surriscaldarsi.

Anche in Europa segnali di tensioni sui prezzi ci sono. In Germania, l’inflazione è passata da uno 0,7% negativo a un più 1,6% in un mese, a causa però della fine di un taglio temporaneo dell’Iva. Per quel che riguarda l’Eurozona, la società di analisi Oxford Economics prevede una crescita dell’inflazione dallo 0,3% del 2020 all’1,2% quest’anno, con picchi nella seconda metà, quando potrebbe arrivare all’1,5% nell’area euro e al 2% in Germania (ma altri, ad esempio Capital Economics, ritengono che quella tedesca potrebbe quest’anno superare il 3%). Una serie di fattori che valgono per gli Stati Uniti valgono naturalmente anche per l’Europa: i colli di bottiglia nelle forniture, l’aumento del prezzo del petrolio, la praticamente certa ripresa dell’economia.

La discussione è insomma aperta. Pochi si aspettano che le maggiori banche centrali aumentino a breve termine i tassi d’interesse: Powell non ne ha intenzione, ha fatto capire durante audizioni al Congresso nei giorni scorsi; e Christine Lagarde non sembra pensarci proprio, anche se un rialzo forte in Germania potrebbe spingere qualcuno nel Consiglio dei Governatori della Bce a frenare sullo stimolo monetario (che la zona euro rischi di surriscaldarsi sembra però una possibilità remota, non si vede nemmeno la roadmap per le vaccinazioni anti Covid-19).

Il fatto è che i  mercati guardano avanti e, se si afferma l’idea che l’inflazione sarà più alta abbastanza stabilmente, le aspettative su stimoli e tassi bassi si ridimensionerebbero, le valutazioni sul cambio del dollaro anche. E, quando il dollaro inverte la direzione, i flussi di capitale s’ingrossano. E con loro le turbolenze: tanto più pericolose in un quadro di alti debiti in tutto il mondo. Un battito d’ali a Washington…

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