Economia

La ‘febbre americana’ per il calcio italiano fino al girone E

Ecco perché il calcio italiano, benché malandato, attira sempre più investitori più di qualunque altro Paese europeo salvo la Gran Bretagna

Il businessman italo americano Rocco Commisso ha ad esempio acquistato la Fiorentina

Dopo il Milan e la Roma, il Bologna e la Fiorentina. E poi, ancora, Venezia, Pisa, Parma. Ora i capitali americani stanno arrivando in altre città del calcio italiano: dall’acquisito del Catania che Joe Tacopina perfezionerà nei prossimi giorni, allo Spezia che il presidente, Gabriele Volpi, ha appena venduto alla Alk Capital di Alan Pace, spalleggiata dal fondo Msd di Michael Dell. Poi c’è l’Inter con la proprietà asiatica in crisi e il fondo Usa BC Partners che si è fatto avanti anche se, mentre scriviamo, la sua offerta è stata considerata inadeguata e la trattativa è ufficialmente interrotta.
La ‘febbre americana’ arriva fino alla serie D col Campobasso acquistato dall’investitore italoamericano Matt Rizzetta, mentre si vocifera addirittura di un interesse Usa per il Trastevere, che disputa il girone E della quarta serie. Il presidente, Pierluigi Betturri, non smentisce ma ostenta una certa nonchalanche capitolina: «Con 10 milioni non comprano nemmeno la coda del cavallo di Marco Aurelio, quella falsa che sta in piazza del Campidoglio. Non è certo un valore adeguato al brand del Trastevere, una società con 112 anni di storia, con alle spalle il rione più antico e famoso del mondo».


Il nuovo appeal

Si è parlato spesso, negli ultimi anni, di questa riscoperta del calcio italiano che, benché malandato, attira investitori più di qualunque altro Paese europeo salvo la Gran Bretagna: un fenomeno solo in parte alimentato da imprenditori e finanzieri italo-americani che trovano nel calcio il canale ideale per tornare nel Paese d’origine dando visibilità al loro orgoglio di emigranti che ce l’hanno fatta.
Questa corsa è alimentata da vari fattori: dalla gestione poco manageriale delle squadre che fa intravvedere ampi spazi per un miglioramento dei parametri economici, alla possibilità di sviluppare il business degli stadi di proprietà, alla possibilità di acquistare a prezzi relativamente bassi società con un brand molto noto anche a livello internazionale. E l’anno della pandemia, anziché rallentare, ha accelerato questi processi, tra società sportive italiane coi conti sempre più in rosso, bisognose di nuovi capitali (o nuovi proprietari) e un mercato finanziario americano zeppo di liquidità che, tra tassi d’interesse azzerati e rendimenti pressoché nulli, cerca di impieghi redditizi e di scommesse promettenti in giro per il mondo.
“In passato, e anche fino ad oggi, i padroni delle società sportive, da Moratti a De Laurentiis, sono stati soprattutto imprenditori ricchi per i quali il calcio era una sorta di social currency. Il ritorno del loro investimento non doveva arrivare necessariamente col profitto aziendale: poteva essere d’immagine o di ricadute positive su altre loro attività economiche” spiega Salvo Arena, dello studio Chiomenti di New York, l’avvocato che ha seguito l’acquisto della Fiorentina da parte di Rocco Commisso, quello del Catania da parte di Tacopina e ha partecipato a molti altri affari e trattative calcistiche attraverso l’Atlantico.

“La stagione degli investimenti americani nasce dalla combinazione di due fenomeni: da un lato ci sono personaggi come Commisso che hanno lasciato l’Italia in povertà ed ora tornano ricchi e famosi sulle ali dello sport più popolare. È la loro rivincita e anche un modo di restituire qualcosa al loro Paese d’origine”. Sono imprenditori e quindi l’idea di guadagnare non dispiace loro, ma non è il motivo primario del loro investimento. Vale per la proprietà della Fiorentina, ma anche per altre come quella del Bologna, anche se Joey Saputo è un italocanadese di seconda generazione: figlio di papà Lino che arrivò da Palermo.

“Adesso, però — aggiunge Arena — si sta imponendo una categoria assai più ampia di investitori americani senza legami familiari con l’Italia come Dan Friedkin alla Roma e, soprattutto, stanno arrivando i fondi di private equity: questo è un fenomeno recente, iniziato pochi mesi fa, alimentato da due forze. Da un lato enorme liquidità: hanno duemila miliardi di dollari da investire. Cercano asset sottovalutati, scommesse potenzialmente redditizie. E vogliono investire in qualcosa che la gente, i risparmiatori, capisca. Il calcio italiano oggi risponde a questi requisiti. Dall’altro le società sportive, da tempo in difficoltà e messe in ginocchio dal Covid, hanno bilanci disastrati e assoluto bisogno di liquidità”. Certo, le società inglesi sono più attraenti e redditizie. Ma a parte il fatto che molte sono già in mani americane, costano care. In Italia, invece, si può ancora comprare a prezzi relativamente bassi.

La «torta» dei diritti Tv

Una spinta forte l’ha data l’iniziativa del fondo Cdc che cerca di conquistare i diritti audio e tv di tutte le squadre della Lega. Se un’istituzione finanziaria così importante scommette sulla managerializzazione del calcio italiano, molti nel private equity sono spinti a mettersi sulle sue tracce.
Ci sono anche altri fattori: intanto una crescita dell’attenzione per il calcio anche da parte di giganti come Amazon che ha puntato sui diritti televisivi della Champions League (e che in futuro potrebbe mettere nel mirino le leghe nazionali). Poi la necessità di stimolare l’interesse degli americani per il calcio in vista dei Mondiali 2026 che sono stati affidati congiuntamente a Stati Uniti, Messico e Canada. Infine le sinergie che si possono creare con investimenti in più Paesi e continenti. Il gruppo che ha effettuato il closing con lo Spezia, in Inghilterra ha appena comprato una società della Premier League, il Burnley. E Saputo, oltre al Bologna, possiede una squadra della Mls, la principale lega nordamericana: il Montreal. Intanto nascono multinazionali calcistiche come il City Football Group, proprietario del Manchester City, del New York City, del Melbourne City e poi della squadra di Yokohama in Giappone del Mumbai City in India.
Un affare davvero planetario per uno sport destinato a uno sfruttamento economico sempre più spinto. Ieri in America si è giocato il Superbowl che muove un giro d’affari di molto superiore a una finale della Coppa dei Campioni, anche se la platea del calcio è ben più estesa. Da qui la convinzione che ci sia ampio spazio per crescere. E non solo coi team più blasonati. Secondo alcune voci ci sono fondi di New York e Miami che, oltre a interessarsi a società già affermate — Sampdoria, Torino, Genoa, Spal — stanno studiando squadre meno rilevanti ma con brand che possono essere valorizzati, dal Pescara alla Reggina.


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