Economia

O la borsa o la vita: la finanziarizzazione della vita quotidiana

La sociologa dell'Usi Léna Pellandini-Simányi ci spiega le conseguenze di una vita ormai colonizzata da mutui, carte di credito, fondi.

In Ticino va peggio che oltre Gottardo. Nel riquadro Léna Pellandini-Simányi (Ti-Press)
20 settembre 2020
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Mutui, carte di credito, fondi pensione: oggi star dietro a queste cose tocca pressoché a tutti, a meno che non si sia abbastanza ricchi da poter pagare qualcuno per farlo. Sociologi ed economisti la chiamano ‘finanziarizzazione della vita quotidiana’: ma a parte quel mucchio di contratti ed estratti conto alla fine del mese, cosa significa davvero? E quali sono le conseguenze per le nostre vite, specie in un Cantone dove le finanze delle famiglie ‘normali’ sono più fragili che altrove? Lo chiediamo alla sociologa Léna Pellandini-Simányi, docente presso l’Istituto di marketing e comunicazione aziendale dell’Università della Svizzera italiana, che al tema ha appena dedicato un saggio pubblicato sul ‘Routledge Handbook of Critical Finance Studies’.

Prima di tutto, le basi: di cosa stiamo parlando?

Assistiamo a un utilizzo crescente di prodotti finanziari – azioni, fondi, obbligazioni, carte di credito, mutui… – da parte di tutti, a livello globale: le famiglie si muovono sempre di più sui mercati finanziari. La finanziarizzazione della vita quotidiana si riferisce a questa tendenza, ma anche al cambiamento culturale che accompagna questo fenomeno.

In che senso?

Si nota una tendenza a leggere la realtà da un punto di vista del rendimento finanziario: ad esempio non si sceglie una casa solo perché la troviamo bella e confortevole, ma diamo sempre più importanza al suo valore futuro; oppure andiamo in palestra se l’assicurazione personale ci fa uno sconto sui premi. Un sacco di aspetti della vita che un tempo non avevano rilevanza finanziaria, ora ce l’hanno.

Che cosa ha generato questa finanziarizzazione ‘esistenziale’?

Si tratta di un fenomeno che varia in intensità a seconda dei paesi. Anche se lo si riscontra perfino in Cina, la sua incidenza comincia a diventare visibile nei paesi anglosassoni con l’imporsi di privatizzazioni e riduzioni delle funzioni dello Stato, tra anni Settanta e Ottanta. Ed è sempre più legato alla globalizzazione dei mercati.

C’è chi ha parlato di ‘keynesismo privatizzato’.

Infatti: la riduzione del welfare state in molti paesi ha costretto gli individui a farsi carico di quello che una volta faceva lo Stato. Ad esempio indebitarsi per mantenere i consumi in un momento di crisi, o attrezzarsi per avere fondi a disposizione in caso di disoccupazione o una volta anziani.

Qualcuno dirà che è meglio così: impariamo a comportarci da persone più responsabili, prendendoci cura delle nostre finanze.

Il problema è che l’importanza degli aspetti finanziari nella nostra vita non significa necessariamente che ci stiamo trasformando nell’homo oeconomicus, nel soggetto razionale sognato da alcuni economisti e politici. Una cosa è dover fare costantemente scelte e valutazioni finanziarie, un’altra è saperle fare, sia per mentalità che per conoscenze.

Quali sono i rischi per chi è più debole?

La finanziarizzazione della vita quotidiana finisce per colpevolizzare chi non riesce a ‘gestirsi’. Inoltre, lo stesso accesso ai prodotti finanziari rischia di essere discriminatorio, ad esempio se dipende dalla salute, dall’estrazione sociale o da altre categorie che distinguono e isolano un gruppo sociale dagli altri: per questo sarebbe importante che si superasse il calcolo di rischio individuale e si fornisse un accesso al credito basato su criteri più universali, per evitare un aumento delle diseguaglianze.

Com’è la situazione in Svizzera?

Si tratta di un caso particolare. Da una parte, la sua ricchezza si traduce naturalmente in forti investimenti finanziari: le persone non tengono i soldi nel materasso. Dall’altra, però, questi investimenti rimangono piuttosto tradizionali: non si vedono il tipo di marketing finanziario e la spinta verso nuovi prodotti d’investimento cui si assiste ad esempio in Gran Bretagna, dove si promuovono molto strumenti come i mutui digitali e le piattaforme d’investimento web; qui questo fenomeno è ancora agli inizi. Inoltre lo stato sociale resta più forte che altrove.

E in Ticino?

In termini di salari medi rispetto alle altre regioni svizzere, il Ticino è il più ‘povero’ e affronta le maggiori diseguaglianze. Questo spiega probabilmente perché ha il più alto numero di famiglie indebitate: oltre la metà. Una situazione ancor più problematica tra i giovani. Data la situazione, c’è anche una maggiore ‘finanziarizzazione’, soprattutto col ricorso a strumenti di credito. Questo non si traduce però in una maggiore ‘alfabetizzazione’ finanziaria: anzi, mentre nella Svizzera tedesca gli studenti escono dalla scuola con un livello relativamente alto di competenze nella gestione del denaro – e si dimostrano effettivamente più capaci in materia –, nella Svizzera romanda e in Ticino le competenze sono molto meno sviluppate.

Un'accoppiata pericolosa.

Qui la maggioranza delle persone è spinta a gestire una situazione finanziaria oggettivamente più difficile con molte meno capacità di farlo rispetto ad altri cantoni. Questa situazione è resa ancora più difficile dal fatto che il sistema bancario ticinese si è storicamente concentrato sul private banking: servizi ad hoc per clienti con grandi patrimoni. I prodotti rivolti alla famiglia media sono piuttosto basilari e naturalmente meno su misura.

Si tratta di una tendenza irreversibile?

Dopo la crisi del 2008 scatenata da investimenti ‘tossici’ legati ai mutui, molti governi, molte istituzioni finanziarie e l’Unione europea hanno compreso che certi eccessi creavano un grande rischio sistemico, e questo ha portato ad esempio a una maggiore regolamentazione delle banche. Abbiamo visto allora qual era l’errore: si stava cercando di combinare la responsabilità individuale con un sistema globale talmente complesso che neppure gli esperti erano riusciti a capirlo. Una via d’uscita – che in parte si sta già percorrendo – è quella di togliere almeno una parte del rischio finanziario dalle spalle degli individui, che dovrebbero essere ritenuti responsabili solo delle scelte che possono effettivamente fare. In questo senso ritorna importante il ruolo dello Stato.

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