Economia

Altra spinta monetaria in vista

La Banca nazionale svizzera potrebbe portare a -1 percento il tasso d’interesse guida sul franco. Mossa suggerita dall’ulteriore ‘bazooka’ della Bce

La quasi parità tra franco ed euro è una spina nel fianco dell’economia svizzera (Keystone)
18 settembre 2019
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Dopo l’annuncio della scorsa settimana da parte del presindente della Banca centrale europea Mario Draghi di abbassare i tassi sui depositi di 10 punti base (da -0,40% a -0,5%) e di riattivare il 'bazooka' della liquidità con una nuova versione del Quantitative easing ‘open end’ (senza data di scadenza, ndr), domani mattina potrebbe toccare alla Banca nazionale svizzera annunciare un’ulteriore espansione monetaria. Almeno è quanto si aspetta Elena Guglielmin, senior credit analyst di Ubs intervenuta questa mattina a Lugano. «La probabilità che Thomas Jordan ritocchi al ribasso il tasso guida (da -0,75% al -1%) è abbastanza elevata anche perché il presidente della Bns non ha mai fatto mistero di voler mantenere invariato il differenziale tra i tassi sull’euro e quelli sul franco», ha ricordato l’economista di Ubs. E questo anche alla luce del rallentamento economico in atto in Svizzera certificato dalla Seco proprio questo mercoledì (il Pil quest’anno dovrebbe salire dello 0,8% rispetto al +1,2% previsto, ndr). Un rallentamento che segue le dinamiche continentali e internazionali influenzate dalla annosa, ormai, guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina con riflessi anche sull’Eurozona. Ricordiamo che il presidente statunitense Donald Trump rinfaccia alla Germania di avere un surplus commerciale troppo elevato da correggere, secondo lui, con tasse all’import verso gli Stati Uniti più elevate.
Ancora una volta, come avviene da un decennio ormai, a guidare le scelte economiche di cittadini e imprese saranno le banche centrali. «La politica monetaria è lo strumento più rapido per indirizzare l’economia. Da sola però non basta», ricorda invece Matteo Ramenghi, Chief investment officer di Ubs Wealth management Italia. «Mario Draghi ha sempre invitato i governi a stimolare, per quanto possibile e permesso dalle pieghe dei vincoli di bilancio, la crescita economica utilizzando anche la leva fiscale», ha commentato Ramenghi. Questo non vuol dire aumentare per forza il debito pubblico, già elevato per alcune economie europee. Ma indirizzare gli investimenti nei settori emergenti come la digitalizzazione e l’industria 4.0. «Per quattro decenni è stata la globalizzazione il motore dell’ottimizzazione produttiva. In un periodo di ‘deglobalizzazione’ come l’attuale questo ruolo lo sta prendendo la tecnologia. Nel contempo l’Europa, ma anche la Cina e il Giappone, stanno vivendo una crisi demografica. Ciò si tradurrà in pressione fiscale aumentata, debito pubblico e spesa sociale più elevati», aggiunge Matteo Ramenghi.
Ma un ulteriore stimolo monetario – non solo a livello continentale – equivale ad aumentare la pressione sul settore finanziario. «Quattro anni e mezzo fa, quando furono introdotti per la prima volta gli interessi negativi in Svizzera, si era detto che sarebbero durati non più di due anni. Ora la prospettiva di un altro taglio – se confermato – aggiungerà ulteriore pressione sulle banche e sulle casse pensioni», sottolinea invece Luca Pedrotti, Group managing director di Ubs per il Ticino.
E non solo il settore finanziario, anche il settore immobiliare – già pesantemente gonfiato da un decennio di tassi ipotecari bassissimi e in via di ridimesionamento – potrebbe ricevere un’ulteriore spinta attirando i capitali di investitori istituzionali in fuga dall’obbligazionario, pubblico o privato che sia. A livello globale lo stock di obbligazioni con rendimenti negativi è pari a 16mila miliardi di dollari. Una situazione mai conosciuta prima.

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