Economia

I salari crescono, anzi no

Per la prima volta dopo anni il livello degli stipendi tende ad aumentare nell'Unione europea e in Svizzera. Un fatto vanificato dalla timida ricomparsa dell’inflazione.

(Ti-Press)
17 agosto 2018
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La Banca centrale europea ha quale unico obiettivo dichiarato quello della stabilità dei prezzi al consumo e da quasi un decennio (dallo scoppio della crisi finanziaria del 2008, ndr) la sua politica monetaria espansiva è orientata a portare il tasso d’inflazione all’interno dell’Eurozona (i 19 paesi sui 27 dell’Unione europea ad aver aderito alla moneta unica) prossimo al 2%. Un livello di rincaro ritenuto ‘sano’ per la crescita economica.


Fino a oggi tale tasso (a fine giugno era dell’1,96% nell’Unione europea mentre per l’Eurozona leggermente inferiore, all’1,5%) è rimasto al di sotto del target. È solo negli ultimi mesi che i prezzi e con essi i salari hanno ricominciato ad aumentare. Uno dei segnali che gli economisti della Banca centrale europea attendevano da tempo e che indicano che la crescita economica si sta trasferendo – con anni di ritardo – ai redditi dei lavoratori. L’aumento non è però tale da far stappare bottiglie di Champagne: il 2% nella zona euro e il 2,7% in tutta l’Unione europea. In alcuni paesi l’aumento è stato quasi trascurabile. In Italia, per esempio, i salari sono saliti in un anno appena dello 0,4%; in Portogallo sono addirittura calati dell’1,15%. Se si tiene conto del tasso d’inflazione, basso ma in ripresa, l’aumento dei salari dal punto di vista reale risulta addirittura negativo.


Da qualche anno la dinamica dei salari, ovvero la relazione tra quanto crescono le remunerazioni e una serie di altri fattori come il tasso di crescita dell’economia, il livello di disoccupazione e l’inflazione, nel mondo occidentale non segue più le regole classiche. Per lungo tempo, infatti, la relazione tra salari e il resto dell’economia era considerata un fenomeno prevedibile: al calo della disoccupazione, gli stipendi si alzavano poiché i datori di lavoro offrivano salari al rialzo per assumere i lavoratori ancora sul mercato, o per convincere chi già lavorava a cambiare azienda. Il maggior costo del lavoro si scaricava sui prezzi dei beni producendo inflazione.


Tutto questo non avviene più, nemmeno in Svizzera dove il livello di disoccupazione è storicamente basso (al 2,4% secondo i dati Seco e al 4,6% se si tiene conto tasso del Ilo, ndr).


Addirittura per lo scorso giugno l’Ufficio federale di statistica ha certificato che nel 2017, per la prima volta dal 2008, i salari reali sono leggermente diminuiti. L’aumento dello 0,4 in termini nominali non è infatti riuscito a compensare un’inflazione che è stata dello 0,5%, cosicché in realtà il potere d'acquisto dei lavoratori è sceso dello 0,1%. Il tutto senza contare i premi delle casse malattia costantemente in aumento e altre voci non incluse nelle statistiche sull’inflazione.


Tale crescita nominale, registrata in uguale misura nel settore industriale e nel terziario con variazioni settoriali, ha confermato la tendenza alla moderazione salariale osservata dal 2010, con tassi reali annui che non hanno superato l’1%. Negli ultimi cinque anni (dal 2013 al 2017) il ritmo annuo medio della progressione dei salari reali è stato comunque, per l'insieme dei salariati, dello 0,9%.


Durante questo periodo, nel settore secondario l'evoluzione reale annua media è stata del +0,8%. I cosiddetti rami “di media-alta tecnologia”, che sono anche i grandi rami esportatori del settore industriale, sono quelli che hanno influito maggiormente sull’aumento dei salari reali nell'arco di questi cinque anni.

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