Economia

Quel potenziale latente del mercato del lavoro

Sono circa 270mila le persone, soprattutto donne e anziani, senza attività lucrativa interessate da un lavoro

Più asili nido per favorire il lavoro delle mamme (foto Ti-Press)
19 giugno 2018
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La mancanza di personale rischia a medio termine di frenare la crescita economica elvetica, mette in guardia uno studio di Credit Suisse pubblicato oggi. Se è vero che il mercato del lavoro svizzero dispone di un potenziale grazie a disoccupati e forza lavoro cosiddetta latente (in particolare donne e anziani), l’assenza di adeguate condizioni quadro rende difficile il loro reclutamento, sostengono gli specialisti della seconda banca svizzera nell’ultima edizione del Monitor Svizzera.

A breve termine le prospettive sono positive. Nel 2018 la crescita dovrebbe avvicinarsi a un +2,2%. Gli esperti del Credit Suisse definiscono questo dato da ‘Mini-boom’. La congiuntura è particolarmente solida nel settore industriale e ciò ha un effetto positivo sul mercato del lavoro: il numero di persone attive occupate è infatti progredito dell’1,6% nel primo trimestre, sfiorando la soglia di cinque milioni di persone, il livello più alto dalla crisi finanziaria del 2008.

Segnali positivi giungono anche da altri indicatori congiunturali. Secondo il Monitor, le esportazioni quest’anno dovrebbero segnare un +4%, i consumi privati un +1,4% e gli investimenti un +3,1%. Contemporaneamente, la disoccupazione dovrebbe scendere al 2,6%.

A medio termine però, il calo dell’immigrazione, l’invecchiamento della popolazione e la carenza di manodopera rischiano di rappresentare un freno sia per il mercato del lavoro sia per la crescita, ammoniscono gli economisti di Credit Suisse. Secondo le loro stime, le persone senza attività lucrativa interessate da un lavoro, soprattutto donne e anziani, rappresentano un bacino di circa 267mila persone. Il loro reclutamento andrebbe stimolato con misure politiche come l’innalzamento dell’età ufficiale del pensionamento per i senior e un potenziamento della conciliabilità tra attività professionale e famiglia, ad esempio con più asili nido. Le donne, infatti, rappresentano il 60% del potenziale lavorativo.

Mancano qualificati

Il potenziale inespresso, secondo gli economisti di Credit Suisse, è molto elevato: in tutta la Svizzera, 837mila persone (il 13,2% della popolazione residente in età fra i 15 e i 74 anni, 2016) nell’ambito della Rilevazione sulle forze di lavoro in Svizzera Rifos hanno espresso il desiderio di lavorare (maggiormente). Di queste, 238mila sono senza lavoro e 332mila sottooccupate. Gli economisti di Credit Suisse ritengono però che solo una quota ridotta di questi gruppi abbia opportunità di (piena) occupazione. “Il disallineamento tra le qualifiche di queste persone alla ricerca di un impiego e la domanda porta a una certa disoccupazione di base anche in un mercato del lavoro flessibile come quello svizzero”, spiega Oliver Adler, capoeconomista presso Credit Suisse citato in una nota. “Occorre garantire migliori opportunità di mobilità tra le cosiddette riserve latenti – persone inattive che manifestano sostanzialmente il desiderio di lavorare”. Secondo gli analisti di Credit Suisse si tratterebbe di circa appunto 267mila persone, in gran parte anziani e donne. 

Si chiama digitalizzazione la sfida formativa del prossimo futuro

Immigrazione e digitalizzazione sono tra le sfide principali per il sistema educativo svizzero, mentre l’obiettivo stabilito da Confederazione e Cantoni di portare al 95% i giovani in possesso di un titolo del livello secondario II è sulla buona strada.

È quanto emerge dal rapporto 2018 sull’educazione in Svizzera presentato a Berna dal capo del Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca (Defr) Johann Schneider-Ammann e dalla presidente della Conferenza dei direttori cantonali della pubblica educazione (Cdpe) Silvia Steiner. Il testo, di oltre 300 pagine, raccoglie informazioni sul sistema educativo svizzero e sulla sua efficacia dalla scuola dell’obbligo alla formazione continua.

Nel 2011 Confederazione e Cantoni hanno fissato l’obiettivo di raggiungere il 95% dei giovani di 25 anni in possesso di un diploma di livello secondario II. Per la prima volta, il rapporto stabilisce differenze tra i giovani con passato migratorio e coloro che hanno compiuto tutto il percorso formativo in Svizzera. Attualmente, per i ragazzi di nazionalità svizzera il tasso si eleva al 94%, mentre i giovani stranieri nati in Svizzera raggiungono l’86% e i migranti nati all’estero registrano una quota del 73%.

Un terzo dei giovani tra 15 e 17 anni ha un passato migratorio, sottolinea in una nota il Defr, aggiungendo che alcuni studi svolti finora hanno imputato le difficoltà scolastiche di allievi stranieri alla loro origine. Per gli autori del rapporto questa visione è troppo semplicistica e occorre tener presente anche altri fattori, tra cui il contesto culturale e socioeconomico, la lingua e la durata della loro presenza nella Confederazione.

Il rapporto giudica “scarsi” i risultati delle ricerche e degli indicatori che valutano la digitalizzazione nella formazione. Questo fenomeno, comparso nel mercato del lavoro da oltre vent’anni, è ancora preso in considerazione troppo marginalmente, per questo motivo Confederazione e Cantoni hanno deciso di dedicare maggiore attenzione in questo ambito, sebbene sia difficile prevedere la portata e la rapidità di questo sviluppo e dei suoi effetti.

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