Economia

Wall Street affossa le borse asiatiche ed europee

Alti e bassi in una giornata all'insegna della volatilità. New York apre in forte calo ma chiude salendo del 2,34%

6 febbraio 2018
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L’onda lunga di Wall Street travolge le piazze asiatiche ed europee, che chiudono in profondo rosso ’gelate’ dal tonfo dei listini americani. Ai crolli di Tokyo e Shanghai, che hanno sperimentato perdite del 4,7% e del 3,3%, sono seguiti quelli nel Vecchio Continente: Piazza Affari appesantita dall’Eni perde il 2,08%, Francoforte arretra del 2,32%, Parigi del 2,35% e Londra del 2,6%. Wall Street apre in forte calo poi, in una seduta altamente volatile, chiude in rally: il Dow Jones guadagna 569 punti, in quello che è l’aumento maggiore degli ultimi due anni, e vola del 2,34%. Il Nasdaq sale del 2,13% mentre lo S&P 500 avanza dell’1,75%.

Da un punto di vista economico non ci sono stati eventi in grado di innescare il rally dopo la giornata nera di lunedì: il rischio di inflazione, e della fine dell’era del denaro a costo zero, e’ rimasto invariato, cosi’ come quello politico. L’unica cosa a essere cambiata e’ il rischio delle valutazioni, scese con il tonfo di lunedì e ora alla portata di più investitori. Un ’contributo’ alla corsa dei listini potrebbe essere arrivato anche dagli algoritmi: secondo molto osservatori, la ’guerra delle macchine’ ha avuto un ruolo nell’ondata di vendite del lunedì nero. ’’L’unica cosa su cui puntare il dito quando si sperimenta un calo come quello di lunedì sono le macchine, ovvero l’high frequency trading’’, affermano gli analisti di Think Markets, riferendosi ai programmi basati su algoritmi che spingono al ribasso i titoli azionari quando vengono superati quelli che i trader chiamano ’livelli tecnici’.

La seduta a Wall Street e’ stata all’insegna della volatilità con il Dow Jones scivolato in correzione tecnica prima di ripartire, muovendosi in una forchetta di quasi 1.200 punti. Stesso discorso per lo S&P 500: dopo perdite del 2,1% all’avvio degli scambi, il listino recupera e vola arrivando a guadagnare fino all’1,3%. Un rialzo bruciato però nell’ora successiva, con l’indice tornato a perdere l’1% alla chiusura delle piazze europee.

Alti e bassi catturati in pieno dal Vix, l’indice della volatilità e della paura di Wall Street schizzato fino a quota 50, ai massimi dall’agosto del 2015, per poi stabilizzarsi intorno a quota 40. Un balzo sostanziale se si considera che l’indice era solo a 14 venerdì, quando sono stati diffusi i dati sul mercato del lavoro negli Stati Uniti ed e’ iniziata la pioggia di vendite sui mercati finanziari. La fotografia scattata sulla disoccupazione americana ha alimentato i timori di un surriscaldamento dell’economia, con la piena occupazione a portata di mano e i salari in crescita e alle prese con il maggior aumento dal 2009. Un mix che, insieme all’effetto della riforma delle tasse targata Donald Trump, ha agitato gli investitori facendo temere un’accelerazione dell’inflazione e quindi un’azione più aggressiva della Fed sul fronte dei tassi di interesse. Aumenti del costo del denaro più veloci delle attese preoccupano per il loro effetto sull’economia: in passato la Fed non ha mai avuto un grande successo in rialzi a catena dei tassi di interesse causando, in più occasioni, un ’atterraggio duro’ per l’economia.

La Casa Bianca e il Tesoro americano seguono l’andamento di Borsa, così come lo segue la Bce in contatto con gli operatori di mercato. Steve Mnuchin, l’ex Goldman Sachs segretario al Tesoro americano, non si dice particolarmente preoccupato per il calo delle ultime sedute, con il quale a livello globale sono stati bruciati 4.000 miliardi di dollari in otto giorni. ’’L’economia sta bene. I mercati funzionano bene’’ dal punto di vista della liquidità: dal movimento delle borse non ci sono implicazioni per la stabilita’ finanziaria, dice. Si tratta, aggiunge, di una ’’normale correzione, anche se ampia’’. Poi ammette: gli scambi con gli algoritmi hanno ’’di sicuro’’ avuto un ruolo sul forte movimento dei mercati. La volatilità di Wall Street si ripercuote sul mercato da 14.000 miliardi di dollari dei Treasury: i rendimenti sui titoli di stato a dieci anni sono saliti al 2,78%, dopo che lunedì – quando i listini crollavano – si erano spinti al 2,8850%, a un passo dalla fatidica soglia del 3%, un livello considerato spartiacque. Prevedendo un aumento del debito per finanziare il taglio della tasse, e quindi un aumento delle emissioni di titoli di stato da parte del Tesoro, gli investitori temono un indebolimento della domanda di Treasury e quindi un aumento dei rendimenti per attirare acquirenti. Questo potrebbe causare una ’fuga’ dai mercati verso i bond, alimentata da tassi di interesse piu’ alti che rendono i titoli azionari piu’ costosi rispetto al reddito fisso.

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