Economia

Dati dei dipendenti agli americani? Il Credit Suisse non doveva fornirli

(©Ti-Press / Gabriele Putzu)
15 dicembre 2015
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La trasmissione agli Stati Uniti di dati di una ex dipendente da parte di Credit Suisse (CS) è illecita: la Corte di giustizia di Ginevra, quale tribunale di seconda istanza, ha bocciato un ricorso del numero due bancario elvetico. I giudici confermano che gli interessi personali della donna prevalgono su quelli dell’istituto di credito.

La sentenza, che risale a venerdì, è stata trasmessa oggi ai media dall’avvocato Douglas Hornung, che oltre a difendere l’ex impiegata si è battuto al fianco di numerosi dipendenti di banche le quali, per salvaguardare i loro affari negli Stati Uniti, hanno trasmesso oltre Atlantico dati del loro personale.

In un comunicato, il legale si rallegra della sentenza della Corte d’appello cantonale, che conferma altre decisioni di giustizia nei cantoni di Vaud, Zurigo e Ginevra. Stando ad Hornung questa è la prima decisione in materia emessa da un tribunale di seconda istanza e quindi molto promettente in vista di un ricorso al Tribunale federale (TF) da parte di CS.

Contattato dall’ats, quest’ultimo ha affermato di aver appena ricevuto la sentenza e di non potersi ancora esprimere su un ricorso. Credit Suisse fa comunque notare che il tribunale di prima istanza non aveva giudicato l’invio delle informazioni come illegale per principio.

Come si legge nella sentenza dell’11 dicembre, l’istituto di credito davanti alla giustizia ha fatto valere un’autorizzazione del Consiglio federale per UBS. Il governo, basandosi sulla clausola generale di polizia per salvaguardare un bene giuridico fondamentale, nella fattispecie il buon funzionamento del sistema economico, aveva permesso la trasmissione di informazioni.

Hornung deplora che la Corte si sia limitata a una valutazione degli interessi delle due parti e non abbia affermato con chiarezza che la trasmissione di dati al di fuori delle regole dell’assistenza internazionale e di una base legale specifica è illegale per principio. "Senza dubbio un tema troppo caldo politicamente" vista l’autorizzazione del Consiglio federale, scrive nella nota.

Il caso in esame

La ex dipendente aveva denunciato CS davanti al Tribunale di Prima Istanza di Ginevra per aver trasmesso alle autorità penali americane 1623 suoi dati, essenzialmente e-mail, tra l’aprile e l’ottobre 2012. In quell’epoca le banche non erano tenute ad informare il loro personale dell’invio di informazioni che lo riguardavano. Sono però rimasti 50 documenti che CS avrebbe voluto inviare e per cui ha dovuto chiedere l’autorizzazione rendendo la vicenda nota alla donna. Su sua opposizione, il trasferimento dei 50 documenti è del resto stato bloccato con un provvedimento provvisionale, blocco ora confermato nella sentenza.

Il tribunale di prima istanza lo scorso 28 maggio aveva constatato "l’illiceità della comunicazione alle autorità americane da parte di Credit Suisse – al di fuori di un procedimento di assistenza internazionale – di documenti contenenti dati" dell’ex dipendente, "vale a dire delle informazioni che l’identificano o che permettono di identificarla".

Il tribunale aveva ammesso il forte interesse per la banca di continuare a collaborare con le autorità statunitensi. Ma aveva considerato che l’interesse dell’ex dipendente di non vedere divulgato il suo nome fosse preponderante.

Riesaminando la questione da cima a fondo, in una sentenza di 40 pagine, la Corte di giustizia di Ginevra è giunta alle medesime conclusioni. I giudici ricordano in particolare che le autorità americane al più alto livello (viceministro della giustizia) hanno ribadito la volontà di perseguire penalmente tutti coloro che hanno favorito evasioni fiscali di cittadini americani. La donna sarebbe dunque stata esposta a un grave rischio.

Per la Corte, CS non ha invece saputo dimostrare in modo concreto che la mancata trasmissione dei documenti le avrebbe portato un grave pregiudizio. Gli interessi dell’ex dipendente prevalgono dunque su quelli della banca.

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