Dib. Elettorale

Vorrei essere la voce di Bianca e… non solo di lei

6 marzo 2019
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Se penso allo slogan “Siamo la vostra voce”, desidero essere la voce di Bianca, un’ottantaquattrenne che ho ascoltato a più riprese. Ecco la sua testimonianza, ridotta per non tediarvi:
Paolina mi parla con rispetto, usa modi fuori moda – con lei mi comporto in modo elegante, come lei con me –.
Cristina è più alla buona, più familiare. Da otto anni viene da me. Sa cosa mi piace – una relazione basata sulla semplicità, con lei posso essere me stessa –.
Petra non parla molto. Non conosce bene la lingua. Si limita al saluto. Fa il suo lavoro in silenzio – un silenzio riposante –.
Stefania è piuttosto pettegola. Mi racconta cosa vede dagli altri e sicuramente racconta loro cosa vede da me – l’ascolto educatamente e me ne guardo bene di fornirle spunti di conversazione di questo genere –.
Laura mi parla come fossi una bambina. Una bambina di 84 anni – la lascio dire e fare, sopporto però tutto questo a malapena –.

Tutti i giorni, mattino, mezzogiorno e sera, mi aiutano ad alzarmi, a lavarmi, a vestirmi, a cucinare, a pulire la casa, fino all’andare a letto. Hanno occupato la mia casa, il mio guardaroba, il mio salotto, la mia cucina. La mia vita insomma. Io subisco in silenzio. Non ho scelta. Questa situazione… o la casa per anziani. Da sola non ce la faccio più. Lo so io, lo sanno i miei figli, lo sanno anche Paolina e le altre signore dell’aiuto domiciliare che per fortuna ci sono e che chiaramente ringrazio. Mi adatto a loro e loro a me. Recito molti personaggi. Ho l’impressione di essere a volte un oggetto fragile, a volte pesante, a volte polveroso, a volte banale. Un oggetto nelle loro mani. Una bambola, in una casa di bambole. Esse inviano un messaggio in funzione di quanto ricevono o almeno credono di ricevere. Una mi vede vulnerabile, un’altra gran dama, un’altra distante, un’altra come un’amica e via di seguito. Io, vorrei essere solo io: Bianca, di 84 anni, segretaria in pensione, vedova, a volte stanca, ma in forma e presente. Vorrei essere semplicemente una cliente e a volte gridare al mondo: «Non sono mica scema». Invece sono la persona anziana, dipendente, vulnerabile, l’utente che riceve, che ha bisogno di aiuto. Ogni loro sguardo, ogni loro gesto, ogni loro postura, il loro vocabolario me lo dimostrano. Fra di noi non c’è una comunicazione normale! Dico che la comunicazione è una storia di parole, di sguardi, di gesti, di posture che non dipendono solo dalle persone ma variano anche dal contesto, dalle situazioni, dall’umore del giorno. Non siamo le stesse persone dal panettiere, dai parenti, o dal vicino dove le variazioni nel comunicare sono più che legittime. Siamo nell’ambito professionale e le cose cambiano. La comunicazione qui non deve essere basata né sulla familiarità, né sull’ossequiosità, né sulla diffidenza, né sul maternalismo o sull’infantilizzazione, ma semplicemente sul rispetto gli uni degli altri, sull’autenticità, con dolcezza e fermezza. Per concludere vorrei ringraziare tutti coloro che si occupano in un modo o nell’altro di over 60: operatori, familiari curanti e volontari. Il Ps deve essere anche la loro voce e cercare di ritrovare il giusto equilibrio per relazioni positive tra generazioni. Grazie.

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