Spettacoli

Dopo la Berlinale, il bisogno di ricordare

Due film sulla memoria e l’educazione: ‘Herr Bachmann und seine Klasse’ di Maria Speth e ‘Fabian oder Der Gang vor die Hunde’ di Domini Graf

‘Herr Bachmann und seine Klasse’ di Maria Speth
8 marzo 2021
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Due film, tra tanti, meritano di essere ricordati, in questa Berlinale della pandemia, per un bisogno impellente, e di grandissima attualità, che in diverso modo affrontano: il dovere di ricordare, di avere memoria. In questo nostro tempo dove la rapidità delle notizie cancella la validità dell'informazione e in un sovraccarico di flash si perde anche il ricordo del giorno precedente, rimettere in ordine il visto, il guardato, il letto, il sentito, il vissuto, diventa atto necessario per poter creare un futuro stabile.

È importante che questi due film, innanzitutto, vengano dalla Germania, il Paese più attento al peso della memoria, e siano capaci, in diverso modo, di segnalare proprio il dovere di avere memoria per conoscere l'oggi per porre radici nuove. Per far questo, uno, ‘Fabian oder Der Gang vor die Hunde’ di Domini Graf porta fuori dall’ombra ‘Fabian. Die Geschichte eines Moralisten’ di Erich Kästner, uno dei romanzi più importanti della Repubblica di Weimar e in generale della letteratura tedesca del XX secolo, mentre l’altro, ‘Herr Bachmann und seine Klasse’ di Maria Speth, entra nella realtà scolastica di un’Europa che ha combattuto il nazismo, di un’Europa che ora esiste attraverso la Germania. Di questo film avevamo scritto in base al Palmares: “… non ha la potenza di ‘Entre les murs’ diretto nel 2008 da Laurent Cantet, ma è onesto nel suo dire”. In realtà questo film si distanzia da quello di Cantet che mette in rilievo la classe: Maria Speth sposta il baricentro sull’insegnante regalandogli il destino di protagonista, rispetto alla classe, eppure è il suo agire a risultare determinante. E lui a coinvolgerli in una coscienza tedesca che paga il suo essere stata nazista nel voler essere umana. Gli allievi vengono a essere chiamati come protagonisti di una identità purificata. Inutile è il riconoscersi in un fallimento, e il nazismo è il più cretino dei fallimenti umani, e il suo essere blocco cementificato è lo stanco e asfittico sopravvivere di esseri alieni a costruire futuri umani. Maria Speth va oltre in un film che indagando sull’oggi ci presenta il bisogno di educare, unica soluzione al futuro. La sua documentaria figura di un uomo sconfitto che trova nell’insegnamento il modo di compiere il proprio dovere di vivere diventa, in un film di tre ore e quaranta, il grande determinato senso del vivere come lasciare una traccia dell’essere vissuto. La sua classe è il lavoro di costruzione, i suoi alunni provenienti da frantumazioni del nuovo multicolore essere sociale sono il suo io da compiere. E allora ecco il condurli a cantare ‘Bella Ciao’ e a visitare il museo della follia criminale nazista a Stadtallendorf, una città tedesca con una storia complessa di esclusione e integrazione di stranieri, dove durante la seconda guerra mondiale italiani e altri furono portati a costruire bombe aeree. In questo film alla fine banale nel suo chiudersi romanticamente in un anno scolastico che si ferma in un vuoto che seppur generoso determina futuri c’è il peso di un mondo incapace di costruire educazione, parola enorme eppure necessaria.

A questa parola si ispira il film di Dominik Graf nel suo ‘Fabian oder Der Gang vor die Hunde’ che riprende il feroce urlo di disperazione di un Erich Kästner affranto nel vedere il sogno di Weimar frantumarsi nel nascente nazismo del Bücherverbrennungen quel 10 maggio 1933. Il regista tedesco apre il film con immagini del nostro innocente oggi per portarci in quel mondo del 1931 con l’affollarsi di disoccupati, di donne costrette a prostituirsi, di paure economiche che si trasformano nel gettarsi nel vuoto nazista che troppo assomiglia al nostro tempo. Manca in lui la visione d’insieme, il regista si ferma a sceneggiare senza approfondire, ma resta una lettura da fare, quella di un romanzo che meno di cento anni dopo fa tremare per la sua capacità di dirci del nostro essere oggi.

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