Teatro

Cinquanta in sala, non di più. Helbling, Sociale: 'Una mazzata'

'Decisione presa per la salute pubblica – commenta il direttore del teatro bellinzonese – ma credo si sia sottovalutata l’efficacia dei piani di protezione'.

Gianfranco Helbling (Ti-Press)
28 ottobre 2020
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Cinquanta persone in sala, non una di più. Lo ha deciso la Confederazione nell'ambito delle misure anti-pandemia. Un limite che si applica a tutte le manifestazioni e senza una scadenza precisa, che come una nevicata anticipata fa fioccare i primi titoli saltati di una stagione appena ripresa, e in alcuni casi solo annunciata. L’amarezza è grande. Una per tutte, quella di Gianfranco Helbling, direttore del Teatro Sociale, raggiunto pochi minuti prima che un comunicato stampa annunci, a 24 ore dalla sua messa in scena, lo stop al ‘Macbettu’, il Macbeth di Alessandro Serra in lingua sarda che, fermato a marzo per gli stessi motivi, a questo punto sa di maledizione. Chiediamo a Helbling se sia ipotizzabile una stagione da cinquanta spettatori a replica e la risposta è ovviamente «no, è economicamente insostenibile. Per molti spettacoli, inoltre, sono già stati venduti più di cinquanta biglietti. Bisognerebbe capire chi lasciare fuori, chi rimborsare e così via». Ma la questione non è soltanto economica: «Ci sono spettacoli che vivono di una partecipazione corale di pubblico. Cinquanta spettatori cambiano completamente la percezione dello spettacolo. È necessario, a questo punto, ripensare al programma, capire cosa può rimanere, cosa rinviare, capire se e come si può eventualmente pensare ad alternative».

In Italia il malumore è alto per la convinzione da parte del settore di avere adottato ogni mezzo possibile atto a garantire sicurezza, cosa che sarebbe dimostrata dai fatti, ovvero dall’esiguo numero di contagi rilevati (soltanto uno, secondo l’Anica). E in Ticino? «La decisione è stata presa per interesse di salute pubblica superiore – commenta in questo senso Helbling – e la si accetta. Detto questo, avevamo buoni, se non ottimi piani di protezione, applicati con rigore, seguiti con attenzione e scrupolo dal pubblico. C’è incomprensione, in questo senso, anche se è più forte l’amarezza perché si torna a colpire un settore che è fragile non tanto nei teatri e nelle organizzazioni più istituzionali, ma nel personale artistico e tecnico. Si torna a soffrire, e con un’incertezza per i prossimi mesi che pesa moltissimo».

È solo di un paio di giorni fa la richiesta di Taskforce Culture di un coinvolgimento da parte della Confederazione nelle scelte strategiche riguardanti il settore. Chiediamo a Helbling se la decisione odierna non suoni come una beffa: «Aggiungo la presa di posizione dell’Unione dei teatri svizzeri, in cui si auspicava che non si chiudesse. Se mi chiede come la penso, io immaginavo che la riduzione al 50% della capacità potesse essere una soluzione e insieme una risposta alle necessità del momento. Questa è davvero una mazzata pesante e obbliga noi a decidere se chiudere, non alle autorità». Quanto al coinvolgimento, «è stata fatta sì una consultazione. Formalmente sapevano cosa pensa il settore. Se hanno deciso di farlo è perché lo ritengono necessario per un bene pubblico superiore, e lo dobbiamo accettare. Ma credo che si sia sottovalutata l’efficacia dei piani di protezione».

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