Spettacoli

E il naufragar ci è dolce, Professore

'L'infinito' per intero, in una prima parte orgogliosamente anacronistica all'insegna del teatro-canzone. Palancongressi in piedi: la parola è salva

Roberto Vecchioni al Palacongressi (Ti-Press)
7 novembre 2019
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Se nei dischi dal vivo si tiene solo la musica e magari un mezzo grazie o un arrivederci tutt’intero, di quest’ultimo Vecchioni verrebbe da farci un ‘Live in Lugano’ di sole parole, il bootleg di un Palacongressi della commedia dell’arte che pare un Sociale da mille posti in più. Tutto comincia in nome del teatro-canzone, con il Calvino che nell’ultimo album, al cantautore, ha chiamato ‘Una notte, un viaggiatore’ e il Leopardi che gli ha concesso un altro ‘Infinito’, due canzoni per le quali è importante esserci.

In una prima parte orgogliosamente anacronisitica occupata da un disco suonato quasi per intero, canta la vita, il Professore; canta l’amore, le madri, i figli, le donne; l’amore che è «un valzerino», come lo chiama lui, un trequarti qui dedicato anche a Liliana Segre che finisce con le parole di chi sa scrivere ‘Ti amo’ senza pronunciare la parola (“Stringimi ora, perché ho seri dubbi di essere eterno”); le madri che vanno da Andromaca a quella di Cecilia che muore di peste, sono Ida che perde due figli e impazzisce, sono Madre Coraggio di Brecht e Celia, la madre del Che, le madri della storia che portano a quella di ‘Giulio’, Regeni. Le donne, invece – ne arriveranno ancora – sono ‘Cappuccio Rosso’, giovane curda che combatte l’Isis in una canzone di guerra che ha la pace del mandolino di Lucio Fabbri, l’acustica di Massimo Germini e la speranza della protagonista (“Quando l’odio si scioglie, che sia verde il mio prato”). È donna anche la ‘Parola’, oggi maltrattata, della quale chiedersi “chi ti ha ferita a morte?”.
 
Ha una seconda parte, il Vecchioni di Lugano, poggiata ancor di più sulla solida ritmica di Antonio Petruzzelli e Roberto Gualdi, sopra la quale – in ‘Velasquez’ e ‘Ninni’, per esempio – ti ci puoi costruire la casa e anche la piscina. Una seconda parte in cui fanno capolino il dolore (‘Le rose blu’), il congedo (‘Viola d’inverno’), il femminismo (‘Le mie ragazze’), lo spasso di chi da dello stronzo a Beethoven in un siparietto che include anche Schubert e Guccini e ha l’ardire di cantare una ‘Bella ciao’ in nome della Resistenza ai social. Il dovere di cronaca ci perdonerà se per una volta, in questo naufragar di sentimenti, per dirla in recanatese, di ‘Luci a San Siro’ e ‘Samarcanda’ non diremo nulla di più di quel che ha già detto la storia.
 

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