Spettacoli

La giurata e il condannato a morte

'Lindy Lou, Juror Number 2' proiettato domani alle 18 a Mendrisio per la tournée del Film Festival Diritti Umani

2 giugno 2018
|

Giusto sessanta anni fa, Sidney Lumet diresse il bellissimo ‘La parola ai giurati’ con un impeccabile Henry Fonda che, nei panni del giurato numero 8, si rifiutava di condannare così alla leggera un ragazzo accusato di omicidio, invitando i suoi undici colleghi, almeno per rispetto, a valutare con un po’ di attenzione le prove presentate dal procuratore e andare al di là della svogliata difesa dell’avvocatuncolo d’ufficio.
Riprendendo il titolo originale di questo classico del cinema statunitense – ‘12 Angry Men’ – potremmo ribattezzare ‘Dodici persone indifferenti’ il documentario ‘Lindy Lou, Juror Number 2’ di Florent Vassault che il Film festival per i diritti umani di Lugano proporrà per la sua tournée domani, domenica 3 giugno, alle 18 al Ciak di Mendrisio.
Se Lumet, nel suo film di finzione, ci mostrava dei giurati che, pur con qualche titubanza, prendevano sul serio il loro ruolo e si assumevano la propria responsabilità, Vassault ci accompagna alla scoperta di dodici veri giurati che, vent’anni prima e senza la stessa consapevolezza, avevano condannato a morte Bobby Wilcher. Vent’anni dopo la condanna, e dieci dopo l’esecuzione di Wilcher, la giurata numero 2 Lindy Lou decide di rintracciare i suoi undici colleghi per chiedere che cosa ha significato, per loro, quella esperienza.
«Ma qual è il senso di tutto ciò?» chiede a un certo punto uno dei giurati interpellati da Lindy Lou. «Il senso è che ho partecipato all’uccisione di un uomo» risponde la donna. Responsabilità individuale: come precisa un altro giurato, non ci si può nascondere dietro gli altri undici membri perché la decisione è sì collettiva, ma basta un solo contrario per impedire la condanna.
‘Lindy Lou, Juror Number 2’ non è di per sé un film contro la pena di morte. Non direttamente, almeno, perché a essere messa in discussione è proprio la giustizia: l’enorme responsabilità di decidere della vita o della libertà di un individuo banalizzata con risatine «quasi fosse uno scherzo», come confida uno dei giurati. O, ancora peggio, con l’indifferenza di chi neanche si ricorda di aver mandato a morte una persona che forse meritava di essere punita, ma sicuramente meritava un minimo di considerazione.

Info: www.festivaldirittiumani.ch.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔