Spettacoli

Benvenuti in Svizzera

Intervista a Sabine Gisiger, regista del documentario sul comune glaronese di Oberwil-Lieli che ha preferito pagare una multa piuttosto che ospitare dieci asilanti

21 febbraio 2018
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Nel 2015, la regista Sabine Gisiger, come molte altre persone, scossa da quella che adesso conosciamo come crisi europea dei rifugiati, inizia a raccogliere vestiti e medicine da mandare lungo la rotta balcanica. Poi, una sera, alla tv scopre «un mondo completamente diverso, ad appena venti minuti di pullman da Zurigo» racconta la cineasta. «Immersa nella mia bolla di persone che vedono il dramma e vogliono fare qualcosa, vedo uno che dice “non li facciamo neanche entrare”». Quel qualcuno era Andreas Glarner, il sindaco Udc di Oberwil-Lieli, comune argoviese di duemila abitanti decisi a pagare una tassa di quasi 300mila franchi pur di non accogliere la decina di profughi assegnati dal Cantone.

Sabine Gisiger decide così di andare a trovare Glarner, ed è da quell’incontro che nasce il documentario ‘Benvenuti in Svizzera’ presentato la scorsa estate al Locarno Festival e adesso nelle sale ticinesi (anteprime, alla presenza della regista, stasera al Palacinema di Locarno, domani al Lux di Massagno e venerdì al Cinema Leventina di Airolo).

Come è stato il primo incontro con Glarner?

La prima volta che l’ho incontrato non avevo ancora deciso di realizzare un film: volevo verificare, capire come è questa persona che ha la mia età, come me ha una figlia, come me è divorziato… così simile e così lontano.

Il primo incontro è stato, diciamo, un po’ litigioso: lui ha le sue opinioni, io le mie esattamente contrarie. È stato lì che ho capito che, se voglio capire questa realtà, non ha senso che mi metta a discutere, che cerchi di convincerlo. Dovevo ascoltarlo: cosa per me non sempre facile, ma facendo un bel respiro è andata bene.

Le ha dato l’idea di qualcuno mosso da ideali, per quanto diversi dai suoi, o piuttosto da ambizioni politiche?

Difficile dirlo: non si vede dentro una persona, ma credo entrambe le cose. Da una parte è davvero convinto e vuole salvare la vecchia Svizzera, una Svizzera che, come lui la immagina, secondo me non è mai esistita. E con tutta questa storia del rifiuto è diventato molto popolare: è stato eletto in Consiglio nazionale ed è diventato responsabile della migrazione nell’Udc. Lui crede davvero in una Svizzera pura che viene rovinata dagli stranieri, ma sa anche che queste polemiche sono un capitale politico.

Nel documentario si vede Glarner visitare un campo profughi in Grecia. Non è stato strano seguirlo lì?

Credo che la parola giusta sia “ambiguo”. Noi naturalmente volevamo sapere se questa esperienza lo avrebbe cambiato, se si sarebbe ricreduto. Questo non è avvenuto: per lui il viaggio è stata la conferma della sua teoria che bisognava aiutare queste persone lì dove si trovavano, evitando di farle arrivare in Svizzera. Non ha cambiato idea ma umanamente è stato toccato da questa esperienza e nel suo comune ha raccolto fondi per chi si trovava in questi campi, permettendo di ospitare malati e anziani in appartamenti. Ma non ha ripensato la propria ideologia.

Con ‘Benvenuti in Svizzera’ non ha temuto di rendere ancora più aspro ed emotivo un dibattito già teso?

No perché dipende da come si filma: io avevo l’intenzione, e questo è stato capito da tutte le persone coinvolte, di raccontare, non di fare un film polemico perché mi sembrava che di polemica ce ne fosse già abbastanza. E che anzi, quello di cui abbiamo bisogno è ragionare, ascoltare gli argomenti.

Nel documentario non incontriamo solo Glarner, ma anche esempi di accoglienza e integrazione, dalla consigliera di Stato Susanne Hochuli all’Intergalactic Choir.

Sono esempi delle varie ‘anime’ che troviamo in Svizzera: c’è questa Svizzera di destra, ma ci sono anche i giovani e tante persone della società civile che si danno da fare. Questo è stato il bello che ho visto: quanti aiutano queste persone che si trovano qui. E poi c’è la figura di Hochuli che sta per i politici che tentano di trovare soluzioni umane e ragionevoli che non semplificano il problema: un atteggiamento che mi piace molto.

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