Spettacoli

(Mezza) Maratona Mentana

Intervista al re del talk show politico, ospite questa sera di 'Politicamente scorretto' su La1. Un cuore nerazzurro e uno ticinese (abbiamo le prove...).

(Foto: Laureta Daulte)
20 gennaio 2018
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«Ecco Enrico, questo è il giornalista che vorrebbe farti alcune domande…», dice l’angelo custode che ci conduce negli studi Rsi di Lamone. L’Enrico in questione alza lo sguardo, carica un sorriso beffardo e prorompe in un sonoro «… e chi se ne frega!», degno, anche per inflessione, del miglior Principe De Curtis. «No, guardi che sto scherzando…», si affretta poi a specificare, per restituirci fiducia. Ma a noi, ridotti “a uno stereotipo culturale” come Allison Portchnik in ‘Io e Annie’, sta bene così. Dev’essere un certo qual piacere autolesionistico a farci sentire grati al Direttore per l’averci ridicolizzati davanti a tutti esattamente come accade a Paolo Celata, l’inviato del suo Tg, esposto al pubblico ludibrio davanti a ben altro numero di spettatori.

Rispettosi del suo pranzo in piedi, scambiamo qualche battuta con Enrico Mentana, re dell’informazione multimediale, signore degli ascolti della politica applicata al piccolo schermo, figura con aura, tempi scenici e seguito da vera stella del Dio pallone (anzi, del Dio televisore). È il Mentana della maratona che fa gli ascolti di tutte le altre maratone messe insieme, il moderatore del confronto Berlusconi-Occhetto del ’94, anno della discesa in campo del Cavaliere (al tempo, suo datore di lavoro), picco di share del talk show pre-elettorale di sempre.

Mentana è il secondo ospite di ‘Politicamente scorretto’, format di Rsi condotto da Nicolò Casolini in abiti non sportivi. Esordita col botto – 38% di quota di mercato, 41’600 telespettatori – la trasmissione andrà in onda ogni sabato sino al 3 marzo, ovvero fino a 24 ore prima del voto popolare che getta ombre sinistre sul futuro della tv di Stato. Tema non trattabile in puntata, ma al quale Mentana, politicamente scorretto a sua volta, ammiccherà durante le riprese (scopriremo stasera, su La1 alle 20.40, se le forbici del montatore erano affilate).

«Io, è ovvio, sono favorevole all’abrogazione», esordisce quando gli facciamo notare la quasi concomitanza di date. E nel salottino scoppia una seconda risata, dalle sfumature isteriche. «Una cosa voglio dirla», e qui il Direttore si fa serio. «Sono cresciuto con la televisione della Svizzera italiana e sarei dispiaciuto che si perdesse questo patrimonio. È un dibattito che non mi riguarda direttamente, e soprattutto è una decisione che spetta al popolo sovrano, in una Confederazione che vive anche sullo strumento referendario.

Però non posso restare indifferente all’idea che possa andare persa un’eredità per la quale io, dopo 40 anni, mi ricordo delle telecronache di Giuseppe Albertini, delle radiocronache di Tiziano Colotti, di Renzo Balmelli…».

Nicolò Casolini, nel time out tra una registrazione e l’altra, racconterà di come il Direttore abbia sempre apprezzato l’internazionalità dei notiziari della radio e della televisione svizzera, in tempi nei quali la tv italiana si spendeva in coperture mediatiche dal perimetro provinciale. Quanto ai pomeriggi trascorsi da bambino in riva al Ceresio, portatoci da mamma, Mentana aveva già riferito in trasmissione. «Penso di essere uno dei pochi italiani in grado di citare i leventinesi dell’Ambri Piotta (qui senza accento, ndr), la Valascia, la Ressega (qui con due esse, ndr), lo stadio di Cornaredo (qui senza errori, sempre ndr)».

Il Direttore non dice da quale parte stia, hockeisticamente parlando, perché «in realtà potrei anche citare delle cose che non so cosa siano di preciso, ma che sono uscite dagli altoparlanti della radio e della televisione quando ero bambino. Come il Mobilificio Pfister di Contone, “Visitate la Cà Rossa!”». E sullo slogan del colosso dell’arredamento scoppia una terza, fragorosa risata. Così, il Mentana dal cuore ticinese e fine intrattenitore, raddoppia il carico: «Io non sono il primo arrivato. Guardavo tutte le puntate di ‘Oggi alle Camere federali’, la Coppa Spengler a Davos, il concorso ippico di Aquisgrana, il Concerto di Capodanno, dopo il quale c’era la gara di salto da Garmisch-Partenkircher…». Tutto questo unito al calcio svizzero, che per l’italiano dei primi anni 70 rappresentava l’unica forma visivamente alternativa al campionato trasmesso da mamma Rai. Almeno sino all’avvento delle televisioni libere, con le prime immagini dell’atletico calcio inglese tutto fasce e cross commentato dal romano Michele Plastino, almeno sino ai virtuosismi brasiliani, trasmessi in rotazione come puro riempitivo di vuoti palinsesti, spesso senza alcuna connotazione di luogo e tempo.

«Mi ricordo Karl Odermatt, mi ricordo Blättler, che segnò anche contro l’Italia».

Una volta scesi in campo, proviamo noi a fargli dire qualcosa di sportivamente scorretto. Per esempio, smentire la convinzione interista che l’intervento di Juliano su Ronaldo in Inter-Juventus – scontro frontale in area di rigore che il prossimo 26 aprile festeggia vent’anni – sia stata la madre di tutte le macchinazioni. «È sempre difficile dire che quello di Juliano non era fallo. Io continuo a pensare che lo fosse. Poi, lì, su quel fallo, su quell’azione, si tiene lo scontro di civiltà tra il predominio juventino e l’assalto interista». Il dolore è superato? «Certo che è superato, ci mancherebbe. È tutto superabile».

Prendendo il ‘Politicamente scorretto’ dal titolo della trasmissione e leggendolo in modo esclusivamente letterale, la buttiamo in campagna elettorale. «In Italia sarà scorretta, sicuramente. In Italia, come nel resto dell’Europa e del mondo, il politicamente corretto ha così trionfato nel tempo da diventare ormai impubblicabile. Anche tra le fazioni in genere accreditate di essere più vicine alla correttezza politica si cerca di dissimulare questa cosa. Perché in questo momento il rigore, il sacrificio, l’europeismo sono considerati valori che stanno perdendo quota sul mercato della politica. Una volta si cercavano personaggi che uscissero dal coro, che fossero diversi. Anche qui da voi ce ne sono stati, come si chiamava il Bossi svizzero? Oggi tutti vogliono giocare quel ruolo. Sorte vuole che il leader più accreditato in Italia sia Gentiloni, che è il contrario del politicamente scorretto».

Preso atto che i toni dello scontro politico sono alti da tempo («Siamo passati da un fanatismo dell’accoglienza a un insensato fanatismo del respingimento»), potrebbe vincere chi sarà capace di abbassarli? «Secondo me tutti hanno i due emisferi del cervello all’opera, creatività e razionalità. È chiaro che uno vorrebbe che la politica non fosse noiosa, ma nemmeno irrazionale rispetto ai ‘fondamentali’, come far quadrare i conti». La maratona è in preparazione? «La maratona non si prepara. La maratona si fa». Domanda sbagliata, la maratona è pura improvvisazione, nel senso di libertà quasi jazzistica (il Celata che è in tutti noi resta in agguato).

«Il segreto? Intanto è necessario sfondare la programmazione, e per farlo ci vuole una rete a disposizione. La nostra (La7, ndr) è strutturata in maniera tale che si possano aggirare le rigidità che ci sono altrove. E poi è una cosa che si può fare soltanto se non si hanno vincoli, doveri, legami di alcun tipo». Una libertà che il Direttore ha sempre preteso ed avuto, almeno sino alla discesa in campo del Cavaliere, che gli impose una linea editoriale. E, conseguentemente, le dimissioni (se ne parla in trasmissione).

Libertà, si diceva. «Bisogna saper scherzare su ciò che per qualcuno è sacro, sfruttando tutti i generi comunicativi, da quello drammatico a quello leggero, inclusi i mezzi toni».
In politica, Mentana è riuscito laddove – anno 2005 – fallì Bonolis, quando tentò di rifondare il monolite calcistico ‘90° Minuto’, provando a dissacrare l’intervista post-partita e tutta una serie di punti fermi, da “Decide il mister, è importante farsi trovare pronti” a “È in fuorigioco di pochi millimetri”. Non è un caso che a salvare quella novità Mediaset, osteggiata dai sostenitori del domenicale status quo, fu chiamato proprio il Direttore. Che aggiunge: «Non credo che il gradimento possa essere solo sdrammatizzazione. Così come una trasmissione non può essere solo exit poll e percentuali».

Da Reykjavik a Lamone

Non v’era tempo per catturare il protagonista di questa intervista dopo la sua esibizione. Colpa del treno per Roma, le nostre domande sui webeti (neologismo del Direttore che definisce i leoni da tastiera ed altri disturbati del web) sono state bruciate – meglio sarebbe “cucinate” – dalla trasmissione. Lungo i 35 minuti registrati (10 resteranno fuori, destinazione archivi di Stato) c’è anche il desiderio del calciatore che prima di appendere le scarpe al chiodo vorrebbe chiudere nella squadra del cuore. Leggasi (ascoltasi): «Come i bambini tifano la squadra che vedono per prima allo stadio, e poi sognano di finire la carriera lì, avendo io cominciato ad abbeverarmi di informazione alla Rsi...».

Per non rubare altro al Casolini – che durante la puntata è anch’egli ‘Celata per una notte’ – diremo solo che, alla fine, il Direttore, ce l’ha portato via Renzo Balmelli, giunto sul posto per vestire i panni dell’ospite in studio. L’abbraccio tra i due direttori di Tg – quello in carica e quello in pensione – è affettuosamente sincero. Come pure il ricordo del loro primo incontro, il vertice di Reykjavik Regan-Gorbaciov, testate nucleari sullo sfondo. Correva l’anno 1986. A Lamone, il vertice Mentana-Balmelli inizia così: «Renzo: ma tu adesso quanti anni hai?», chiede l’italiano. «Tanti», risponde il ticinese.

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