Spettacoli

E la vita l’è bèla (Jovanotti alla Rsi)

‘Canto per senso dell’urgenza, per dovere, militanza’. Parola di Lorenzo in Svizzera

18 gennaio 2018
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Partiamo dalla fine. È stata la notte di Jovanotti. Dall’auditorio Stelio Molo, spinto da quella che Gianluca Verga, in diretta tv, chiama “onda d’urto”, il Lorenzo unplugged dà senso all’attesa con ‘Chiaro di luna’. Si apre così lo showcase a base di ‘Oh vita!’, nuovo album e singolo, qui cantato in mezzo al pubblico. Perché, dice lui, «non c’è differenza tra 10 e 100mila». Si suona musica, e se ne parla. «Non mi capita spesso nelle altre tv». Prima di chiudere con ‘Viva la libertà’, Lorenzo distribuisce autoironia. Cose come «se vedessi uno che fa le cose che facevo io da giovane direi “ma dove stiamo andando a finire?”». Lo showcase, dallo stesso palco, ha una coda live su Mediaset, nel programma di Nicola Savino.

Un passo indietro. È stato anche il pomeriggio di Jovanotti, a cuore aperto sul nuovo lavoro la cui sobrietà, voluta dal produttore-guru Rick Rubin, ha messo d’accordo un po’ tutti. Forse meno il suo autore. «Me lo ripetono da così tanto tempo che comincio a non essere più d’accordo», esordisce. «È prodotto da Rick Rubin, non poteva che essere diversamente. Ma io ho sempre fatto dischi vuoti. ‘Una tribù che balla’, ‘Penso positivo’, batteria, basso e voce». Asciutto oppure no, «dentro ci sono sempre io. Se non ti piace Jovanotti, non è che con questo disco ora ti piacerà. Se invece già ti piace Jovanotti, può darsi che questo disco non ti piacerà. Oppure c’è il rischio che ti piaccia di più, e a me non dispiace».

Nel 2018 ricorrono i 30 anni dal suo primo contratto, e Lorenzo ha la stessa fame degli inizi. «Mia madre, quando noi figli siamo andati via di casa, continuava a cucinare le stesse quantità. Ho sempre fame, anche non spirituale. Mangio tutto, i tappi delle penne, i fili delle cuffie quando sono in studio». E il trentennale, alla fine, va in bilancio: «Per usare un termine italiano, è cambiato tutto per non cambiare niente. Se uno si approccia a un lavoro come il mio, è ancora il talento che fa la differenza. A un giovane dico di fare come in ‘Lettera a un giovane poeta’ di Rilke, guardarsi dentro e chiedersi se si può vivere senza musica. Se la risposta è sì, avanti; oppure stop. Perché questo mestiere è qualcosa di profondo, sconfina nella malattia mentale».

Un mese al debutto del tour. Il 30 giugno, la Resega. «Se andrà in porto la mia idea, sarà un’idea molto antica, che ha il senso del carnevale. Il carnevale non si guarda, si fa. Vorrei regalare alla gente la possibilità di essere dentro al concerto, non solo di guardarlo. Come succede da Springsteen, o con la black music. Ho la sensazione che il mondo si stia africanizzando. Più il mondo si fa tecnologico e digitale e più l’esigenza è quella di scoprire l’esperienza. Ci provano con la tecnologia, ma non ce la faranno, perché sono esclusi la temperatura, l’odore».

In pochi hanno storto il naso su ‘Oh vita!’. Per la gioia del suo autore, che da Fabio Fazio, qualche tempo fa, si diceva non sempre a suo agio con le critiche. «Perché, a te piace essere criticato?» ci rimbalza. In verità “no”, rispondiamo. Ma se la critica è musicale? E la critica musicale ha ancora un senso? «Avrebbe senso. Se ci fosse. Ora è spalmata sui social, ma non è quasi mai una critica competente. La critica musicale vera dà un senso al tuo lavoro, aiuta l’artista anche quando è dolorosa». E l’artista è in pace con la critica e con i suoi haters: «Quello di odiare è un mestiere. Quando smettono di odiare te, odiano un altro. È la natura stessa della rete, che è come una splendida navicella spaziale con un bagno enorme che usano in tantissimi. Ma rimane pur sempre una splendida navicella». Limpido, come il ritratto di ‘In italia’ e come Gioia che “se n’è andata in Inghilterra con una laurea in chimica” e adesso “fa reagire le molecole di pasta con quelle di aglio e olio”. Gioia, uno dei volti della splendida ‘Quello che intendevi’ cantata poco più tardi, figlia di un paese che per i suoi giovani migliori non ha un futuro da offrire. Di politica, Lorenzo, non vuole parlare. Di speranza, invece, sì. «Canto per senso dell’urgenza, per dovere, militanza. Negli ultimi anni ho visto spegnersi talmente tanta vita intorno a me che l’unica risposta che mi sono sentito di poter dare è cantare la vita. Perché fino a quando c’è, è preziosa. E io sono lì per celebrarla».

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