Società

Sostiene Berset: la prima ondata in un libro-intervista

Andrea Arcidiacono ci presenta ‘La maratona di Alain Berset’, pubblicato da Casagrande

Berset (Keystone)
30 novembre 2020
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La pandemia sta sempre più passando dall’immediatezza delle notizie alla calma di una riflessione più approfondita che, dalla velocità di radio-tv-giornali-web, trova il proprio spazio nei libri. Certo con la seconda ondata ancora in corso (e altrove già si parla di terza), vaccini e altri trattamenti in sperimentazione, assenza di un consenso scientifico su diversi aspetti del virus, questioni sociali, politiche ed economiche ancora aperte, le riflessioni saranno necessariamente provvisorie. Non necessariamente un male, come dimostra l’interessante ‘La maratona di Alain Berset’ (edizioni Casagrande) di Andrea Arcidiacono, esperto di comunicazione, ex corrispondente da Palazzo federale per alcune testate della Svizzera italiana ed ex portavoce dei consiglieri federali Dreifuss e Couchepin. Il volume sarà in libreria a partire dal 4 dicembre; sabato 12 dalle 10 alle 12 l’autore sarà alla libreria Casagrande di Bellinzona per un firmacopie.

‘La maratona di Alain Berset’ si presenta come una lunga intervista, frutto di una serie di incontri, con il capo del Dipartimento federale dell’interno, ripercorrendo quella che adesso conosciamo come “prima ondata” non per farne una cronaca, ma per comprendere ragioni e motivazioni delle decisioni prese. I retroscena, come sono definiti nel sottotitolo del libro. Particolare attenzione è dedicata al rapporto tra Confederazione e Cantoni, soprattutto il Ticino. Si ricorderà la questione della legittimità di alcune misure adottate dal Consiglio di Stato: si è giunti a una decisione di compromesso, chiudendo ad esempio un occhio sul divieto di fare la spesa per chi ha più di 65 anni. Interessante che per questa soluzione pragmatica Berset si sia scontrato anche con l’Ufficio federale di giustizia, rivendicando l’autonomia della politica: “Ciò che inseriamo in un’ordinanza basata sul diritto d’urgenza appartiene alla politica” (pag. 76).
Interessante perché questa autonomia – e di converso responsabilità – della politica riguarda anche la scienza: “Gli esperti scientifici sono stati ascoltati, ma se dovessimo fare ogni volta tutto ciò che raccomandano, allora dovremmo smettere di fare politica” (pag. 40). La politica deve fare la sintesi perché “viviamo in un sistema aperto e liberale” (pag. 38) che richiede anche il consenso, il coinvolgimento della popolazione. E dell’economia: anche perché, precisa Berset, quella tra preservare la salute o preservare l’economia “è una falsa contrapposizione” (pag. 86).

L’intervista

‘Un ruolo centrale in un sistema collegiale’

Andrea Arcidiacono, perché titolare il libro ‘La maratona di Berset’?

Già in primavera, all’inizio quindi di questo anno della pandemia, il consigliere federale aveva detto che sarebbe stata una maratona, una prova lunga, impegnativa, con diverse tappe. Credo sia un’immagine efficace perché dà l’idea di uno sforzo al quale molti di noi non sono abituati, ci porta ad affrontare le incertezze, a dosare le nostre energie. E poi è la maratona di Alain Berset, che ho intervistato a più riprese, da agosto fino a ottobre. La maratona di Alain Berset è anche il simbolo della maratona che ognuno di noi corre ogni giorno.

Leggendo il testo, si ha l’impressione di un Alain Berset sicuro di sé, sereno, certo di aver agito nel migliore dei modi.

Per quanto riguarda la prima ondata, ho la percezione che abbiamo avuto tutti noi durante le conferenze stampa e i momenti pubblici. Poi, come detto tra agosto e settembre, l’ho incontrato per le prime interviste, per ripercorrere gli eventi passati anche se già lì parlavamo della necessità di mantenere le misure per essere pronti ad affrontare la seconda ondata. L’ho sempre trovato disponibile, tranquillo. Poi, verso metà ottobre, con l’aumento di casi ho chiesto di incontrarlo un’altra volta, e anche in quell’occasione era sempre tranquillo, anche se chiaramente più provato. Negli incontri precedenti Berset era sempre in giacca e cravatta: in quell’occasione, a fine ottobre, sono rimasto sorpreso perché il consigliere federale e il capo della comunicazione erano in camicia e jeans.

Non ho trovato, nelle interviste, traccia di pentimento, non c’è un ‘ho sbagliato’. Anche se forse qualcosa, soprattutto a livello di comunicazione, non è andato perfettamente.

I punti critici li ho affrontati tutti. Penso, sempre riferendomi alla prima ondata, se non si è intervenuti troppo tardi. O il problema del materiale sanitario: c’è stata una carenza, ha risposto Berset, anche perché mancava una base legale che permettesse alla Confederazione di fare direttamente acquisti.

O il piano pandemico preparato prima del Covid ma in parte disatteso. Dalle risposte Berset non mi è sembrato molto interessato a indagare le responsabilità.

L’atteggiamento di fondo mi è sembrato identificare i punti critici e trovare la soluzione migliore in una situazione di crisi. Lo spazio per il miglioramento, per l’autocritica verrà successivamente: un bilancio definitivo di questa crisi richiederà anni.

Direi che è questa la linea pragmatica di Berset: abbiamo reagito in maniera tempestiva in quella particolare situazione e abbiamo corretto il tiro, quando era necessario. Il suo bilancio del momento è questo. La crisi pandemica non è ancora finita, anche se i vaccini aprono nuove prospettive. Aggiungo che Berset, in quanto consigliere federale responsabile della sanità, ha assunto fin dall’inizio un ruolo centrale e in un sistema collegiale, di concordanza che non ama figure di spicco. Tutti rientrano nel governo collegiale: ci sono state discussioni intense, anche delle controversie, poi il sistema spinge a trovare una soluzione di compromesso.

Del resto il libro, più che a trarre bilanci mi sembra miri a ricostruire i retroscena.

Sì. Ho scelto uno sguardo tematico: il federalismo, la gestione del materiale, il ruolo forte dello Stato, la pandemia in tempo reale eccetera. E in ogni capitolo c’è una mia introduzione dalla quale si passa all’intervista andando proprio sui retroscena. Penso ad esempio al viaggio a Roma a fine febbraio: un momento di svolta, lì Berset ha capito che l’Italia aveva perso il controllo della catena dei contagi e bisognava intervenire subito.

O come mai la Svizzera, al contrario di altri Paesi, non ha scelto la via del confinamento totale: perché siamo in un sistema basato sulla responsabilità individuale, dove si dà fiducia alle persone. Convincere senza costringere. Una via che vediamo anche in questa seconda ondata.

Mi permetto tuttavia di aggiungere che nel capitolo ‘Alain Berset e la politica’ io do un mio giudizio sulla sua azione politica e faccio anche una valutazione della comunicazione nelle varie fasi di crisi.

Che conclusioni è possibile trarre?

Una cosa interessante è che per la prima volta in Svizzera le conferenze stampa si rivolgevano direttamente alla popolazione, una modalità per noi atipica.

Un obiettivo del libro è anche verificare come ha funzionato il nostro sistema federalista, se è in grado di gestire una crisi come questa. Io credo di sì, lo abbiamo visto ad esempio nelle relazioni con il Ticino, quando di fronte a un contrasto importante si è trovata la soluzione delle “finestre di crisi” per permettere ai Cantoni di introdurre misure più restrittive di quelle federali.

La seconda ondata è ancora in corso: non c’è il timore che il libro invecchi prematuramente?

Sicuramente il libro è una sfida, da questo punto di vista. Con la scelta di andare sui temi, credo che il libro tenga e possa aiutare anche a comprendere quello che sta accadendo adesso: lo stato di necessità, le relazioni complesse fra Confederazione e Cantoni, la tempistica degli interventi… sono tutti argomenti di cui si discute ancora.

Nel libro, comunque, non c’è solo Berset.

No, abbiamo una prefazione di Christian Vitta che sottolinea il senso di unione del Cantone Ticino durante la prima ondata. E poi Daniel Koch, “Mister Corona”, il responsabile della Divisione malattie trasmissibili. L’ho incontrato a inizio agosto, un’ora e mezza all’aperto in un bar. Era già preoccupato per l’arrivo della seconda ondata: una cosa che mi ha impressionato, il suo sottolineare l’incredibile velocità di questo virus e quindi l’importanza delle “finestre di opportunità” in cui intervenire. La tempestività è essenziale.

C’è poi un’intervista a Claudia Gamondi, primaria della Clinica di cure palliative e di supporto Iosi dell’Ente ospedaliero cantonale. Volevo qualcuno che raccontasse la sua esperienza della pandemia non dietro una scrivania ma in corsia. Infine, troviamo un glossario e una cronologia degli eventi. E una parte fotografica per percorrere anche visivamente le varie fasi della pandemia.

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