Società

Fotografa te stesso

I selfie, scattati a distanza ravvicinata, restituiscono un’immagine col naso fino al 30% più grande

22 giugno 2018
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Nell’orgia postmoderna delle giornate internazionali della qualunque, non poteva mancare la giornata mondiale del selfie che si è celebrata ieri. E se vogliamo trovare un senso al dedicare una giornata a una pratica tutt’altro che impopolare – ogni giorno sul solo Facebook vengono caricate oltre 300 milioni di immagini –, si potrebbe partire da un comunicato, di qualche mese fa, della società americana di chirurgia plastico-ricostruttiva facciale. L’anno scorso, più della metà dei suoi membri ha incontrato persone che volevano sottoporsi a interventi per “apparire meglio nei selfie”. Una richiesta assente, o quantomeno non rilevata dal sondaggio condotto annualmente, solo tre anni fa.

Il fenomeno, curiosamente, non sembra preoccupare granché l’associazione – le cui premure, del resto, riguardano innanzitutto le opportunità lavorative degli associati. La chirurgia plastica viene anzi presentata come utile strumento per conquistare, o riconquistare, la piena fiducia nel proprio aspetto esteriore e, in definitiva, in sé stessi. Questione di autoconsapevolezza o meglio – come scrive l’associazione ricorrendo a un piccolo ritocco plastico dell’inglese ‘self-awareness’ – di ‘selfie-awareness’.

Questione di prospettiva

In ogni famiglia c’è una pecora nera. In questo caso si tratta del dottor Boris Paskhover che affronta questi problemi di autoscaz... – giusto per ricorrere anche noi a un neologismo che indichi la noia nel non trovarsi a proprio agio con un selfie – con uno strumento decisamente meno invasivo: uno specchio. Come ha scritto in una comunicazione alla rivista ‘Jama Facial Plastic Surgery’, i selfie scattati con il cellulare hanno infatti un piccolo problema. O meglio un corto problema, perché è tutta questione di lunghezza del braccio.

Il selfie tipico è infatti scattato a circa 30 centimetri dal volto. Una distanza che, secondo gli studi sulla prossemica di Edward T. Hall, rientra nello spazio intimo di una persona, quello dove di solito non entrano neppure gli amici – che in genere stanno tra i 45 e i 120 centimetri –, figuriamoci gli sconosciuti che capitano sul nostro profilo Instagram. A trenta centimetri, oggigiorno, uno sconosciuto si becca – e a ragione – una denuncia per molestie.
Tuttavia, più che di prossemica, è questione di prospettiva. Perché se ti trovi a trenta centimetri dal viso, il naso appare in proporzione molto più vicino – e quindi più grande – di quanto appaia a un metro e mezzo che grosso modo è la distanza normale con cui si interagisce con le persone. Quei due-tre centimetri che in media separano la punta dalla base del naso, di solito trascurabili, diventano importanti a distanza da selfie.

Essendo una persona meticolosa, Boris Paskhover si è messo a fare un po’ di calcoli. Scoprendo che un naso tipico può apparire fino al 30 per cento più grande. E la cosa non si limita al naso, ma tutto il viso risulta leggermente deformato, come dimostra il confronto tra selfie e foto scattate a distanza di sicurezza.

Il vero sé(lfie)

Tutto corretto: l’immagine dal vivo è diversa dalla nostra immagine da selfie. Tuttavia, se uno ha un migliaio di seguaci su Instagram e una decina tra parenti, colleghi e conoscenti – ai quali magari cerca di sfuggire per motivi più o meno legittimi –, alla fine il suo vero sé qual è, quello a “distanza sociale” o quello a “distanza selfie”?
Senza consigliare rinoplastiche – anche perché il problema di prospettiva lo si può risolvere con un bastone da selfie o magari con un drone –, forse l’associazione dei chirurghi plastici ha ragione, quando parla di selfie-awareness. Nell’Antichità Apollo esortava a conoscere sé stessi; oggi la possiamo risolvere con una foto.

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