Società

Il sentimento animale

Intervista all’etologo Roberto Marchesini, oggi a Losone per una ‘passeggiata postumanista’, per riscoprire la nostra umanità nel rapporto con gli animali

2 giugno 2018
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Una passeggiata che potrebbe cambiare la nostra visione del mondo o, quantomeno, del nostro cane e forse di noi stessi: è quello che ha proposto oggi la Casa degli Animali di Rete Uno al Meriggio di Losone. L’obiettivo della passeggiata è infatti conoscere maggiormente il proprio cane, le sue dinamiche e comportamenti. Alla giornata ha partecipato anche l’etologo Roberto Marchesini, autore di numerosi saggi tra cui i “dizionari bilingui” italiano-cane e italiano-gatto, oltre al recente ‘L’identità del cane’. Marchesini è anche “filosofo postumanista”, il che significa – ci ha spiegato – «affermare che la cultura dell’essere umano nasce dalla relazione con gli animali».

In che misura è una tesi ‘postumanista’?
Perché supera quella visione umanista secondo cui la cultura è emanazione dell’essere umano, una visione basata sul concetto di prometeismo per cui l’arte, la musica, la danza sono una realizzazione solitaria dell’uomo in lotta con la natura ostile. Il punto fondamentale della visione postumanista è invece considerare l’essere umano come una entità che si è costruita attraverso la relazione con gli altri, che si è ispirata agli altri, che ha osservato il volo degli uccelli e non solo ha imparato come volare, ma ha imparato che si può volare… e si potrebbero fare moltissimi altri esempi: osservando i rituali di corteggiamento degli uccelli l’uomo ha imparato a danzare, osservando il loro canto la musica. Si tratta di uscire da quel cortocircuito umanista per cui l’uomo è autarchico e autosufficiente. In realtà l’essere umano è fortemente coniugato con tutto quello che lo circonda.

È parte della natura.
Non solo. È l’entità naturale che più si è ispirata agli altri. Non solo è uguale agli altri, figlio della natura e parente degli animali, ma gli animali gli sono stati maestri: è questo il punto fondamentale. L’essere umano ha costruito la propria cultura attraverso l’imitazione degli altri animali: è un passo oltre affermare che, darwinianamente, siamo tutti parenti perché abbiamo avuto un progenitore comune. Perché gli animali sono stati fonte ispirativa per gli esseri umani, il che significa che se ci allontaniamo dalla relazione con gli animali andiamo a perdere le nostre qualità umane, perché sono qualità che nascono dalla relazione, non dalla solitudine.

Tornando all’evento di sabato: non è stato un dibattito filosofico, ma la passeggiata a Losone mi sembra avere questa base postumanista…
Sì, si lega. Il grosso rischio è che noi vediamo nel cane e negli altri animali che ci sono accanto come degli specchi su cui noi proiettiamo le nostre aspettative e i nostri bisogni. Li trasformiamo in bambini, li trasformiamo in macchine, in peluche, in cartoni animati, in immagini, in figurine. E ci perdiamo il cane, o il gatto, in quanto tale. Sempre più spesso sento persone che vogliono il gatto ma non la felinità, che rifiutano tutto quello che riguarda le caratteristiche di specie. E questa è la cosa assurda perché la bellezza della relazione con il cane è che un cane, non un bambino. E sta nel fatto che abbiamo piacere a relazionarci con lui proprio perché lui ci porta in mondi che sono diversi, ci fa assaggiare delle realtà completamente differenti da quelle che ci può far vivere un altro partner umano. Il punto centrale è non solo rispettare, ma vivere, sentire, apprezzare la diversità del cane e le sue caratteristiche etologiche.

Il cane è comunque un animale domesticato che si è coevoluto insieme all’uomo.
Certamente, ma come tutto in natura. Non è che l’uomo abbia fatto qualcosa di diverso da quello che possono essere insetti impollinatori e fiori. Tutto in natura nasce da processi di coevoluzione, dove uno seleziona l’altro e dove pian piano ci assomigliamo. Quindi certamente ci sono una affinità e un legame fortissimo e antichissimo. Ma non dobbiamo dimenticarci che questo legame nasce durante il neolitico ed è un legame di complementarietà, perché dove arrivava l’uomo non arrivava il cane e dove arrivava il cane non arrivava l’uomo. Ma oggi, con l’avvento della cultura urbana, tutto questo si è venuto a perdere perché l’essere umano non cerca più il cane in quanto cane, ma lo trasforma in un surrogato di qualcos’altro. Lo vediamo in tanti aspetti, ad esempio nella passeggiata: l’uomo porta fuori il cane per fargli fare i bisogni, quando invece la passeggiata è il momento in cui si vive un’avventura insieme, si sta in mezzo alla natura, ci si prende un attimo per sé stessi… Sempre più spesso non si rispettano le necessità del cane, con persone che pensano di viziare il proprio cane quando in realtà lo stanno maltrattando, perché un cane ha bisogno di correre nei boschi, rotolarsi nel fango, non essere abbracciato e messo in un passeggino. C’è bisogno di una nuova cultura cinofila.

Quella che descrive è una tendenza moderna o c’è sempre stata?
È un problema moderno, perché se vediamo i nostri nonni vivevano fin da piccoli in mezzo agli animali e quindi imparavano a conoscerli. Non erano degli etologi, ma sicuramente avevano una conoscenza empirica. Nel nostro rapporto con gli animali c’è stato un grandissimo sviluppo dell’etica – e questo nessuno lo mette in dubbio: i cani spesso erano alla catena e tenuti in condizioni davvero brutte – ma c’è stata anche una caduta del sentire. Perché noi ci affezioniamo a tutte quelle dimensioni di vita che sperimentiamo da bambini, ma i bambini di oggi vivono lontani dalla natura, crescono guardando solo la televisione, per loro gli animai sono solo quelli dei cartoni animati e non sono in grado di sopportare un po’ di bava, un po’ di pelo, l’odore del cane… Non frequentano gli animali e questo è molto grave perché non solo non li conoscono, ma gli animali in quanto tali non entrano più nel vissuto, e il rispetto ha spesso più a che fare con il sentire che con la deontologia.

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