Società

Un nuovo fenomeno culturale, i videogiochi

Visti con ostilità, ostaggio di stereotipi e accusati di ogni male, si offrono come nuova forma di racconto, sostenuta da Pro Helvetia e al Consiglio federale...

1 aprile 2018
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In molti li vedono come una perdita di tempo, se non come una minaccia all’equilibrio psico-fisico dei ragazzi, deriva alienante di una società iperdigitalizzata. Il 16 gennaio, in un’intervista al nostro giornale la pedagogista Nosy Nardone notava però che i videogiochi vanno ormai considerati come «un vero e proprio testo narrativo che propone storie interattive: è un media come lo sono i libri, i fumetti o i film».

Insomma, è tempo di accantonare gli stereotipi e osservare questo fenomeno (culturale) in tutta la sua complessità. Pro Helvetia ha scelto questa strada, dal 2010 sostiene l’industria svizzera dei videogiochi, per aumentarne la qualità e la quantità (1,8 milioni di franchi tra il 2010 e il 2012 e 2 milioni tra il 2013 e il 2016).

È della settimana scorsa la notizia che anche secondo il Consiglio federale questi aiuti debbano essere resi sistematici, per sostenere finanziariamente e in modo regolare la creazione e la diffusione di videogiochi, promuoverli sui mercati nazionale e internazionale e acquisire le competenze professionali per una sempre maggiore qualità: «Pur producendo videogiochi di qualità, anche apprezzati all’estero, in Svizzera questo settore della produzione culturale dalle ricadute economiche e tecnologiche potenzialmente importanti è da considerarsi ancora emergente e poco strutturato».

Un linguaggio e un’industria in evoluzione

Non solo una cultura nuova, capace di dialogare con i giovani, i videogiochi rappresentano un’industria emergente. Come nota il Consiglio federale, a livello mondiale il fatturato è stimato in circa 100 miliardi di dollari. Come evidenzia il rapporto, in Svizzera ci si è mossi in ritardo, la produzione annuale di videogiochi è limitata: per i creatori, spesso giovani e inesperti, resta difficile integrarsi nell’industria e accedere ai mercati. Inoltre, vi è un generale limite di consapevolezza: l’impatto che questa industria potrebbe avere su altri settori (innovazione tecnologica, economia e cultura) è poco conosciuto e poco sostenuto.

Dunque, dal 2021 la creazione e produzione di videogiochi dovrebbe rientrare nell’ambito del sostegno della Confederazione alla cultura. Nel frattempo, la settimana scorsa 26 studi svizzeri hanno partecipato alla Game Developers Conference di San Francisco, riuniti da Pro Helvetia nella piattaforma Swiss Games. Tre produzioni sono anche state premiate: ‘Airheart’ di Blindflug Studios ruota attorno a una donna che, in un mondo sospeso, cattura pesci volanti e sogna di raggingere la stratosfera e una leggendaria balena dei cieli; in ‘Mundaun’ di Hidden Fields il protagonista ritorna nei suoi luoghi d’infanzia, in un paesaggio alpino posseduto da qualcosa di diabolico; ‘Nimbatus’ di Stray Fawn Studio propone invece di costruire il proprio drone spaziale e avviarsi in un viaggio intergalattico.

SylvainGardel, per Pro Helvetia, ci dice che in Svizzera ci sono circa 80 studi – concentrati soprattuto fra Zurigo, Ginevra e Losanna – che producono circa 50 giochi all’anno, per un fatturato di circa 50 milioni. In un contesto produttivo in cui ci si è mossi tardi, oggi la formazione nella creazione di videogiochi (che vuol dire anche realtà virtuale o aumentata) è garantita da sei scuole universitarie, fra cui la Supsi.

Ma quali riflessioni hanno indotto Pro Helvetia a sostenere questo tipo di creatività?

«I videogiochi rappresentano un mondo virtuale con un suo contenuto artistico, sono un media che tocca molte persone, soprattutto ci sono dei creatori che vogliono esprimersi e c’è un contesto con un suo linguaggio in evoluzione, che ha un’enorme importanza per quanto riguarda la fruizione della cultura presso i giovani. Ci sono poi dei creatori svizzeri premiati a livello internazionale, con loro dal 2010 abbiamo esplorato questo terreno e oggi questa piccola scena artistica si appresta a divenire un’industria. In questi anni il mondo dei videogiochi si è aperto, vedendo emergere la scena degli ‘indipendent games’, non tanto interessata a una logica industriale e a un publico enorme, quanto a sviluppare dei contenuti».

Spesso i videogiochi sono visti con paura e ostilità, per la loro supposta superficialità o la violenza dei loro contenuti. In che modo Pro Helvetia interagisce con i creativi?

«I nostri criteri di sostegno escludono la iperviolenza, la pornografia, la banalizzazione della violenza. Sono criteri analoghi a quelli del sostegno al cinema. Ma fino ad oggi non ho mai visto un prodotto svizzero che non rispettasse questi parametri, al contrario i videogiochi possono porsi come uno specchio della società. Io ritengo che l’accesso dei minori ai contenuti dovrebbe essere regolamentato dallo Stato come succede con i film, perché verso i videogiochi un cambiamento di mentalità è in atto».

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