Società

Liliana Segre e quel “no” ticinese prima di Auschwitz

La senatrice a vita italiana sabato a Milano ha ripercorso la sua vicenda di deportata, respinta “con disprezzo” da una guardia di confine. Aveva 13 anni…

28 gennaio 2018
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«Sono stata una “clandestina” che dopo aver attraversato le montagne chiedeva asilo e non l’ha avuto, in quanto respinta con disprezzo da un funzionario doganale svizzero». Anche con queste parole, sabato mattina al Teatro Arciboldi di Milano, per la Giornata della Memoria, la neosenatrice a vita Liliana Segre si è rivolta ai 2’500 studenti arrivati per ascoltare la sua testimonianza di sopravvissuta ad Auschwitz.

In Ticino era giunta 13enne (!), con il padre (la madre era morta poco dopo il parto) e i cugini, aiutata da contrabbandieri comaschi, entrando dalle parti di Stabio il 7 dicembre 1943. Il giorno dopo il rientro forzato al Gaggiolo, per essere arrestata a Viggiù. Poi, il carcere a Varese, Como e San Vittore in cella con il padre Alberto. Il 30 gennaio ‘44 la partenza assieme ad altri 605 ebrei dal binario 21 di Milano Centrale, su un carro blindato, destinazione il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Da quel viaggio tornarono solo in 22. Non il padre che morì il 27 aprile; separati all'arrivo ad Auschwitz, non lo rivide mai più.

Un lungo monologo il suo, mai interrotto dai ragazzi, nessuno squillo di telefoni: «Io non ho mai fatto politica e non credo che a 87 anni potrei dare un contributo al di là di quelli che sono i miei valori e le esperienze di una vita passata attraverso l’espulsione dalla scuola, la prigionia, l’essere stata operaia schiava, una clandestina che chiedeva l’asilo... Sentire parlare di nuovo di razza, di una razza superiore che decide per gli altri, mi ha fatto ricordare tempi in cui ero considerata inferiore, e come tale ero diventata un pezzo nell’organismo della persecuzione ebraica, insieme a zingari, omosessuali, donne considerate di razze inferiori. Sono stata una di queste».

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