Scienze

Coronavirus, quello che sappiamo e quello che non sappiamo

Dall'arrivo della bella stagione al vaccino, facciamo il punto sul coronavirus con Roberta Villa, giornalista e divulgatrice scientifica

Stare a casa è la cosa migliore (Keystone)
10 marzo 2020
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Roberta Villa, la bella stagione diminuirà la contagiosità del coronavirus, come avviene con l’influenza?

Non lo sappiamo. Noi continuiamo a fare il confronto con l’influenza stagionale, ma in realtà nelle influenze pandemiche questo effetto non è stato così marcato. L’ultima, la suina, è emersa a fine aprile in Messico, dove già non faceva freddo, e si è diffusa in tutto il mondo fino a giugno-luglio, prima di rallentare un attimo e poi ripartire con violenza a ottobre-novembre.

Questo è un altro tipo di virus, non è di tipo influenzale, per cui non sappiamo come si comporterà. Nei Paesi già caldi, come Singapore o Thailandia, si è comunque diffuso, anche se non tantissimo, ma non sappiamo se per le misure adottate oppure anche per il caldo.

Non lo sappiamo ma quello che dico è: non facciamoci troppo conto, perché potremmo avere una brutta sorpresa.

Si parla di vaccino – ma con che tempi, per lo sviluppo e la commercializzazione?

Qualcuno parla di 12-18 mesi, ma in realtà non siamo certi di riuscire ad avere un vaccino. Non è una cosa automatica, sviluppare un vaccino: ci sono malattie, pensa all’Hiv, dove in trent’anni non si è riusciti. Purtroppo per questi virus non è sicuro che si riesca a ottenere un vaccino: speriamo, disponiamo di tecnologie molto avanzate che ci permettono di prevedere tempi brevi, ma sicuramente non sarà prima di un anno, un anno e mezzo, anzi io credo pure più in là. Non possiamo quindi contare su un vaccino per affrontare questa emergenza: il vaccino servirà, se il virus continuerà a circolare, per tenerlo a bada dopo.

Quindi che cosa abbiamo a disposizione? Ci sono farmaci che possano aiutarci?

Li stanno sperimentando, soprattutto per le forme pi ù gravi: non quindi per rallentare la diffusione della malattia. Ce ne sono diversi: farmaci contro l’Hiv; farmaci antimalarici come la clorochina che sembra avere una certa efficacia; farmaci contro l’artrite reumatoide e un altro che pare molto promettente è il Remdesivir, messo a punto per l’ebola. Ma è un farmaco sperimentale, mai registrato, può venire approvato per uso compassionevole nelle situazioni più estreme.

Ma almeno una volta ammalati e guariti, si è immuni? O si rischia di ammalarsi nuovamente?

Questo è uno dei grandi punti di domanda di questi giorni. Purtroppo ci sono state delle segnalazioni che inizialmente sembravano aneddoti, forse dei test che non funzionavano bene, ma invece sta emergendo che forse c’è una quota di persone che non resta protetta. È ancora tutto molto in dubbio, non lo sappiamo con certezza ma se così fosse sarebbe una pessima notizia: sia perché vorrebbe dire che il virus continuerebbe a circolare, sia perché se la malattia stessa non dà immunità permanente è ancora più difficile mettere a punto un vaccino.

Questione contagiosità: quando si è pericolosi per gli altri, solo se si hanno sintomi, o anche prima o dopo?

Il momento di massimo contagio si ha nelle primissime ore dalla comparsa dei sintomi, quando si inizia a non stare bene, ad avere un po’ di febbre e un po’ di tosse, oppure nelle ore immediatamente precedenti. Ricordo che l’esordio di questa malattia non è come l’influenza con febbre alta: è più sfumata, qualche linea di febbre, un po’ di tosse secca - per cui è facile prenderla sotto gamba, uscire e contagiare gli altri.

Il fatto che persone completamente asintomatiche possano trasmettere il virus, se c’è è molto poco importante e sicuramente non è un fattore determinante per la diffusione della malattia.

Non bisogna insistere sul fatto che chiunque possa essere infettivo, ma sul fatto che chiunque abbia dei sintomi, anche leggeri, deve isolarsi.

Misure di prevenzione. Lavarsi le mani: col sapone, disinfettante, alcool?

Va benissimo sapone e acqua calda. Poi e uno fa il cassiere al supermercato e non può lavarsi le mani in continuazione, vanno benissimo i gel a base alcolici, ma a casa non ce n’è bisogno: basta lavarsi le mani con il sapone. A lungo, sfregandole bene, sopra e sotto… conosciamo la procedura.

Per la pulizia delle superfici?

Vanno benissimo i normali detergenti. Ovviamente nei contesti ospedalieri ci vogliono dei disinfettanti particolari, ma nella vita quotidiana vanno benissimo i normali detergenti. Meglio pulire una volta in più con i normali detergenti che usare prodotti particolari.

C’è poi chi consiglia dosi elevate di vitamina C, aglio, consumare bevande calde…

Sono tutte bufale. E il problema non è che sono solo cose inutili che alla peggio “non fanno male”, perché ci sono alcune cose che dobbiamo assolutamente fare, come non stare vicino agli altri, lavarsi spesso le mani eccetera. Questi comportamenti sono importanti e se li mescoli con mille cose che non servono a niente, alla fine uno si è bevuto qualcosa di caldo, si è messo i guanti e la mascherina, prende la vitamina C e poi esce perché “tanto io sono protetto”. Facendo l’unica cosa che non dovrebbe fare.

Altro tema su cui si trovano informazioni contrastanti è il tasso di mortalità.

Perché le cose sono poco chiare. Innanzitutto non parliamo di mortalità, che si riferisce alla popolazione nel suo complesso, ma di letalità, cioè il numero di morti sui casi confermati. Ma questo è un valore molto diverso: in Italia ad esempio abbiamo adesso tantissime persone con forme influenzali a cui si dice di stare in casa, senza fare il test, per cui non sappiamo esattamente quanti infettati, con forme leggere o che comunque non richiedono il ricovero, abbiamo.

L’ultimo report dell’Oms dava una letalità del 3,8 per cento, ma sono dei numeri che non potremo conoscere con sicurezza fino alla fine. Quello che è certo è che il numero assoluto sta mettendo in difficoltà la sanità: nel Norditalia il problema, adesso, è l’accesso alle terapie intensive.

Concluderei con le misure di isolamento, di cui non sempre si comprende il motivo.

Bisogna capire la differenza tra il rischio individuale di ammalarsi o meglio di avere una forma grave – che è relativamente basso – e quello collettivo, cioè il carico del sistema sanitario, che è molto grosso. E questo rischio collettivo lo riduci con tutte le misure che possono ridurre la trasmissione a livello generale. La metropolitana deve funzionare perché anche gli infermieri devono andare a lavorare, lo stesso per i supermercati; quindi tagli le cose non essenziali: in Lombardia ci sono state discussioni per la chiusura dei bar alle 18, perché prima uno può bere il caffè o mangiarsi un panino e dopo no? Perché la sera il bar è il momento dell’aperitivo, è un’occasione di socializzazione non è il servizio di necessità per chi fa la pausa pranzo. Non è indispensabile e togliendolo riduci le occasioni di incontro e di contagio.

Insomma, stiamo a casa il più possibile.

È importante che tutti quelli che possono stiano a casa, senza colpevolizzare chi non può stare a casa. Ma stare in casa non vuol dire stare chiusi: è importante aprire le finestra, far circolare l’aria, non abbiamo nubi tossiche in giro per le città, il contagio avviene solo da persona a persona.

Soprattutto, dobbiamo mettere in atto delle misure che siano sostenibili nel tempo: non dei comportamenti estremi che dopo tre giorni diventano insostenibili ma qualche che, a seconda delle varie esigenze, si possano portare avanti per settimane. Perché non possiamo fare previsioni, ma sicuramente non è questione di pochi giorni.

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