Scienze

La dieta su misura del microbioma

Intervista al biologo Eran Segal sulle potenzialità, per l'alimentazione e la medicina, dello studio dei microrganismi che vivono nel nostro corpo

24 aprile 2018
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Studiando il microbiota, l’insieme dei batteri che popolano il nostro intestino e che varia molto tra individui diversi, è possibile capire quali alimenti fanno bene a una persona e quali invece sono da evitare di Ivo Silvestro “Le piccole cose sono di gran lunga le più importanti” spiegava Sherlock a una sua cliente nel racconto ‘Un caso di identità’. Un assioma – così lo definì Arthur Conan Doyle – che vale non solo per il popolare detective ma anche per le scienze biologiche, da alcuni anni alle prese con un nuovo paradigma, in alcuni settori quasi una rivoluzione: il microbiota, l’insieme di microrganismi che vivono in un determinato ambiente, da un terreno agricolo – con impatto anche importante sulla resa delle coltivazioni – al nostro corpo, dove tra pelle, intestino, stomaco e bocca «vivono centinaia, se non migliaia di differenti batteri il cui Dna, complessivamente, contiene milioni di geni, cento volte di più che nel nostro genoma» ci spiega Eran Segal, biologo computazionale del Weizmann Institute of Science, autore di ‘La dieta su misura’, da poco tradotto in italiano da Sperling & Kupfer, e tra i relatori del forum “La nuova era della nutrizione” organizzato nei giorni scorsi a Milano dalla Fondazione Ibsa di Lugano.

Perché il microbiota e il microbioma, cioè l’insieme dei geni di questi microrganismi, sono così importanti?
Questi microrganismi sono ovunque: si trovano in ogni parte del nostro corpo che è in contatto con l’esterno, compreso l’apparato digerente, e sono moltissimi: il numero di batteri è di fatto uguale al numero di cellule del nostro corpo. Qualsiasi cosa mangiamo, la mangiano anche i nostri batteri che processano il cibo e possono produrre migliaia, decine di migliaia di metaboliti, molti dei quali vengono assimilati, influenzando sistematicamente vari organi del nostro corpo.

Il microbiota può anche influenzare l’efficacia dei farmaci?
Assolutamente. Dobbiamo pensare al fatto che viviamo in una relazione simbiotica con questi microrganismi. Ci sono importanti ricerche su come l’efficacia della chemioterapia dipenda anche dai batteri che abbiamo, perché questi microrganismi hanno effetti sui farmaci. E i farmaci che assumiamo hanno effetti sui microrganismi.

Con conseguenze sugli studi clinici, per i quali diventa necessario prendere in considerazione nuove variabili.
Certamente. Noi e molti altri ricercatori facciamo molta ricerca sugli effetti del microbiota: conoscere il tuo microbioma può permettere di prevedere se un certo trattamento sia o no efficace. Questi aspetti vengono sempre più spesso presi in considerazione, e, anche se siamo agli inizi, quando avremo una migliore comprensione del microbioma potremo meglio stratificare il campione di uno studio clinico.

Siamo agli inizi per via della complessità del microbioma, visto il numero e la varietà dei microrganismi…
Sì, è molto complesso: non conosciamo neppure tutti i batteri presenti. La ricerca è iniziata una decina di anni fa, con i miglioramenti nella tecnologia per il sequenziamento del Dna, molto più economica e veloce. Questo ha reso possibile analizzare campioni di microbiota, sequenziare ogni frammento di Dna presente e, con un intenso lavoro computazionale, ricondurre a quale batterio appartengono.

Un’impresa paragonabile al Progetto genoma umano che negli anni Novanta sequenziò l’intero patrimonio genetico dell’uomo…
Sì, infatti una decina di anni fa i National Institutes of Health statunitensi hanno lanciato il Progetto microbioma umano, finanziato con circa 200 milioni di dollari.

Varia molto il microbioma da un individuo all’altro?
Molto: le persone hanno microbiomi molto diversi. In effetti, ci sono più differenze nel microbioma di due individui che nel loro genoma.

E queste differenze da cosa dipendono? Le persone di una stessa famiglia o di uno stesso paese condividono lo stesso microbioma?
Abbiamo da poco pubblicato una ricerca in cui si mostra come la genetica abbia un’influenza molto piccola sul microbioma e di fatto sia l’ambiente a determinarlo. Quindi l’alimentazione, i farmaci assunti, lo stile di vita, l’attività fisica, l’età. E anche con chi si interagisce, perché le persone si trasmettono i batteri.

Quindi all’interno di una famiglia, dove non sempre le persone mangiano le stesse cose e hanno comunque stili di vita differenti, saranno diversi anche i microbiomi?
Sì. anche se dal momento che i membri di una famiglia interagiscono tra di loro, avranno microbiomi tutto sommato simili. Ma parenti di secondo grado, geneticamente vicini ma che solitamente non vivono vicini, hanno microbiomi molto diversi.

Quanto sono affidabili i risultati di questi studi? Si è detto che questo campo di ricerca è recente: siamo già pronti a poter formulare una dieta personalizzata?
Abbiamo buone indicazioni: possiamo utilizzare il microbioma – insieme ad altri indicatori come il sesso, l’età, esami del sangue eccetera – per prevedere come le persone reagiscono al cibo. Quello che stiamo facendo adesso è vedere se, seguendo una determinata dieta per diversi mesi, sia possibile invertire situazioni come il prediabete.

Gli studi che avete fatto sono insomma pronti per funzionare anche fuori dai laboratori?
Sappiamo quale cibo fa bene a quella persona e quale no. Con l’andare avanti della ricerca avremo certamente informazioni più dettagliate, ma quello che conosciamo lo conosciamo con sicurezza perché ci basiamo sul livello di glucosio nel sangue che è un buon indicatore. Ma qui la vera domanda riguarda il comportamento: siamo in grado di dire alle persone che cosa devono mangiare – per davvero, ed è un grande cambiamento perché prima lo dicevamo ma, ne sono convinto, sbagliandoci – tuttavia non è detto che le persone cambino davvero abitudini alimentari. Probabilmente a molti non importerà e non cambieranno, ma gli altri, che hanno a cuore un’alimentazione sana, adesso avranno buoni consigli su cui basarsi.

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