Scienze

Pazzo clima, 'ci vuole testa'

Per il fisico tedesco Schellnhuber' il riscaldamento globale si si può fermare. 'Ma è necessario superare la diffidenza sempre più diffusa verso la scienza'

22 marzo 2018
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L’utopia della natura è fatta non solo di scrittori che raccontano le cime delle alte montagne, di esploratori con le loro spedizioni estreme e filosofi che riflettono sul paesaggio: la sesta edizione degli Eventi letterari al Monte Verità di Ascona, intitolata appunto ‘Utopia della natura’, ospiterà anche il fisico Hans Joachim Schellnhuber, fondatore dell’Istituto per la ricerca sull’impatto climatico di Potsdam. Il 24 marzo alle 16 Schellnhuber terrà una conferenza sui cambiamenti climatici. O meglio «sul riscaldamento globale», come ci corregge subito: «Parlare di cambiamenti climatici vuol spesso dire lasciare da parte le attività umane come le emissioni di gas serra: per questo “riscaldamento globale” è il termine più appropriato, perché non solo il clima sta cambiando, ma ciò sta succedendo a causa delle attività umane, come è accaduto negli ultimi cinquanta anni e come continuerà ad accadere in futuro».

Professor Schellnhuber, inizierei dagli aspetti scientifici: quanto è complicato studiare un fenomeno complesso come il clima?
Occorre distinguere vari aspetti.
Gli effetti dell’immissione nell’atmosfera di gas come il diossido di carbonio sono sì un problema fisico complicato, ma molto meno dei problemi di cui, come fisico teorico, mi sono occupato, come la meccanica quantistica relativistica: rispetto alle onde gravitazionali e ad altri problemi della fisica contemporanea, gli effetti dei gas serra non sono molto complicati da studiare. Non sono tuttavia così semplici da essere facilmente compresi dai non scienziati, e questo è certamente un problema.
All’interno della comunità scientifica c’è un consenso pressoché completo sul tema, perché si tratta di un settore della fisica ben conosciuto e sviluppato: ripeto, un problema complicato ma non così tanto. Diverso il discorso dell’impatto del riscaldamento globale: come reagiscono gli ecosistemi, le conseguenze per l’agricoltura, per la salute umana – pensiamo alla diffusione di malattie tropicali in Europa –, le migrazioni legate ai cambiamenti climatici… Questi sono temi molto complessi, e dei quali ci occupiamo all’istituto di Potsdam che ho fondato 25 anni fa e nel quale lavorano esperti di numerose discipline. C’è poi la questione della riduzione delle emissioni di carbonio: quali sono le migliori strategie da adottare nella costruzione degli edifici, nella produzione di energia eccetera.
In conclusione: abbiamo solide conoscenze sul problema – molto più solide di altri problemi in fisica –, ma le conseguenze e le soluzioni sono un tema molto più complesso.

Quali sono i rischi, per il pianeta e l’umanità, del riscaldamento globale?
Ci sono effetti che possiamo definire lineari, facili da calcolare. Con l’aumento della temperatura, il livello degli oceani si alzerà; ci saranno più ondate di caldo; meno precipitazioni in diverse regioni, in particolare nel Mediterraneo, e di più in altre zone come l’Europa del Nord. Pensando alla Svizzera, gli effetti sono la fusione dei ghiacciai e la riduzione del permafrost, il che significa che molte montagne diventeranno più instabili, perché è il ghiaccio che le tiene insieme.
Poi ci sono gli effetti non lineari, più complessi, che si hanno quando si raggiunge un punto critico di un sistema. Abbiamo calcolato che se il pianeta si riscalda di più di 1,5 gradi, perderemo tutte le barriere coralline che andranno a sparire perché le acque diventeranno troppo calde e acide. Con un aumento di circa due gradi, la calotta di ghiaccio in Groenlandia inizierà a fondere, con il conseguente aumento di livello degli oceani anche di sei-sette metri.
Abbiamo poi il rischio di eventi estremi come gli uragani: probabilmente non diventeranno più frequenti, ma più intensi e distruttivi. Qui in Germania si è molto discusso sugli effetti del diesel sulla salute umana, ma rispetto ai rischi del riscaldamento globale il diesel è praticamente innocuo… Il dibattito pubblico si concentra sui problemi semplici, trascurando quelli più gravi.

Alcuni ricorderanno certe previsioni apocalittiche fatte in passato – eventi non accaduti o accaduti solo in parte. Si è trattato di un problema scientifico o piuttosto comunicativo? Previsioni errate oppure si è esagerato per spingere le persone a intervenire?
Ovviamente quando si inizia a fare ricerca in un settore, si formulano ipotesi e si fanno previsioni che ancora non hanno una solida base scientifica. Ma l’unica previsione apocalittica non avverata che io ricordi riguarda la scomparsa delle foreste, discussa negli anni Ottanta. E le foreste, è vero, non sono scomparse, ma questo perché, grazie agli allarmi lanciati, sono stati presi dei provvedimenti per ridurre le emissioni di solfuri.
Per quanto riguarda il riscaldamento globale, se si va indietro di vent’anni e si guardano le previsioni dell’Ipcc (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, ndr), vediamo che grosso modo siamo in linea con quanto predetto. In questo non c’è stato allarmismo, da parte degli scienziati. Perché la scienza che sta dietro queste previsioni è robusta: siamo in grado di dire che cosa accadrà se non riduciamo le emissioni. C’è un forte consenso, nella comunità scientifica, siamo intorno al 98, 99 per cento degli studiosi.
Su questo vorrei fare un esempio: se lei andasse in ospedale e un oncologo le dicesse che ha un tumore polmonare, poi un altro oncologo confermasse il risultato, e poi un altro ancora, fino ad avere 98 oncologi che raccomandano di intervenire immediatamente, lei andrebbe a casa a dormire tranquillo perché due oncologi le hanno detto che non ci sono problemi?

Eppure c’è un forte dibattito pubblico, sul riscaldamento globale.
Credo che ci sia un duplice problema. Da una parte, l’impatto del riscaldamento globale è lento: i ghiacciai si ritirano, ma di pochi metri ogni anno, per cui ci vogliono molti anni prima che un ghiacciaio scompaia del tutto. Lo stesso si può dire per l’avanzamento di specie, e di malattie, provenienti dal Sud: sono processi lenti, le persone si abituano e non si preoccupano. Per fortuna che abbiamo la scienza in grado di misurare e prevedere questi effetti.
Ma, e qui arriviamo all’altro aspetto del problema, la verità scientifica è stata attaccata e distorta, in particolare dalle lobby. La Exxon, ad esempio, ha finanziato delle proprie ricerche sui gas serra, decidendo – lo sappiamo perché adesso i documenti sono tutti pubblici – di nascondere i risultati sulla pericolosità del riscaldamento globale, sostenendo che non ci fossero certezze, che anche tra gli scienziati serpeggiassero molti dubbi. Una campagna, portata avanti anche da altri, che ha funzionato, portando confusione nel dibattito.
Perché noi scienziati possiamo andare da queste grandi aziende e dire loro che cosa accadrà se non si ridurranno le emissioni, ma loro rispondono: “Sì, ma non mi interessano le vostre conoscenze, perché negli ultimi due anni i miei azionisti sono molto contenti dei profitti ottenuti, per cui noi andiamo avanti così”.

Resterei su questo ‘dialogo’ tra scienza e società: lei non è solo uno scienziato, ma anche un consigliere politico e un divulgatore. Quali sono le difficoltà nello spiegare, a politici e persone comuni, i pericoli del riscaldamento globale?
Innanzitutto, molti politici non conoscono per nulla la scienza, perché sono giuristi, impresari, alcuni semplicemente politici di carriera… Ci sono alcune eccezioni, ad esempio Angela Merkel, alla quale ho fatto da consigliere per vent’anni. Lei è una fisica, come me, e quando guarda i numeri e i grafici, è in grado di capire.
In Germania abbiamo avuto molte discussioni sul carbone: ne usiamo parecchio e dobbiamo ridurne l’utilizzo per raggiungere gli obiettivi climatici, ma anche per i problemi di salute che comporta. Quando ho discusso con un politico di alto livello, mostrandogli i dati e le possibili fonti alternative di energia, mi ha risposto: “Non credo in questi numeri”. Non crede in quello che gli ho mostrato perché non mi vuole credere, perché sindacati e industrie vogliono andare avanti con il carbone. Il punto è che viviamo in un’epoca in cui la verità scientifica non è più accettata: quaranta anni fa se un fisico diceva “questi sono i risultati”, la politica e la società accettavano quei risultati; adesso ognuno prende la verità che preferisce, e se un dato non ci piace, lo buttiamo via.

Ultima domanda, che poi è anche il titolo del suo discorso al Monte Verità: possiamo fermare il riscaldamento globale?
Sì, possiamo. Me lo avesse chiesto anni fa, avrei risposto “probabilmente no”, ma adesso, nonostante molta gente non creda nel riscaldamento globale, abbiamo avuto un tremendo progresso tecnologico. Pensiamo agli straordinari progressi nel fotovoltaico. Abbiamo tutti gli ingredienti per ridurre le emissioni di carbonio, in particolare nei Paesi sviluppati come Svizzera, Germania, Stati Uniti. E in tempi rapidi.

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