IL RACCONTO

Si può essere felici?

Si può essere felici con la bellezza, anche se parla delle disgrazie umane: a condizione di non dimenticare le disgrazie

‘Anche senza essere credenti, quella luce rende felici’ – una vetrata di Alfred Manessier
26 agosto 2019
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Le cose si trasformano in ricordo appena le fai, s’incagliano nella sabbia come chiglie di battello in questo lago che s’increspa nel pomeriggio di luglio.

Sono a Neuchâtel, la mattina del sei agosto, e la cosa più strana che vedo sono le ciliege a diciotto franchi il chilo, al mercato di Place des Halles. Passo due volte davanti alla bancarella, ma non è un’allucinazione: il prezzo è scritto in rosso col pennarello indelebile. Allora decido di rinunciare. Il venditore con codino mi guarda sorridendo. Sulla bancarella vicina le insalate ricciute sono offerte con grazia, come fossero capigliature di donna.

Si può essere felici a Pontarlier? Sì, a condizione di sostare davanti alle vetrate di Manessier, nella chiesa parrocchiale. Anche senza essere credenti, quella luce rende felici.

Alfred Manessier, artista francese morto nel 1993, amico di Braque e di Bissière, sa comporre forme e colori in modo sempre nuovo come il musicista compone una sinfonia con poche note. È l’arte astratta. Che non è astratta, perché ha a che fare con il concreto delle idee, dei sentimenti, delle cose reali. Oggi, qui, vedo il blu del cielo, il rosso del fuoco, il giallo del grano.

Sono nella Franche Comté, ospite di un amico, sindacalista in pensione, che vive in una casetta isolata visitata dalla volpe. Un ambiente selvaggio, dove ospita un rifugiato del Burundi che passa il tempo a telefonare. Gli fanno compagnia tre cani di cui uno cieco. Un cane che curava le pecore e che, una volta persa la vista, era destinato ad essere abbattuto. Il mio amico Gilbert gli ha salvato la vita e ogni giorno lo porta a correre nelle praterie del Giura: perché anche il cane cieco ha diritto alla felicità.

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Si può essere felici a Ornans? Sì, a condizione di visitare il Musée Courbet, recentemente rinnovato, e inaugurato in occasione del duecentesimo anniversario della nascita del maestro che ha rivoluzionato la pittura del suo tempo, nato proprio qui a Ornans. Qui si vedono rocce spettacolari, ocra e grige. Si scorge la Loue, imprigionata come un serpente in gole di roccia calcarea. Si vedono brume vaporare dopo i temporali.

Gustave Courbet, dopo il macello della Comune e sette mesi di detenzione in diverse prigioni parigine, nel maggio del 1873 si vide condannato dal tribunale civile della Senna a pagare la ricostruzione dell colonna Vendôme, simbolo della monarchia, abbattuta dai Comunardi. È così che fu costretto all’esilio in Svizzera: o paghi o sei costretto a morire in prigione, oppure a scontare trent’anni di esilio.

Oggi, a Ornans, tutto ruota intorno a Courbet, il maestro europeo del realismo. Visito il museo con Gilbert, l’ex sindacalista, e la sua amica Patricia, una solitaria che fa volontariato in Madagascar. Le opere di Courbet, provenienti dai più prestigiosi musei del mondo, dialogano con quelle di Yan Pei-Ming: la bestia feroce dei nostri giorni convive con la volpe con una zampa nella tagliola, la “Femme nue au chien” nel salotto borghese ottocentesco con la prostituta di Shanghai, il barcone dei disperati d’oggi con la spiaggia idilliaca di Etretat.

Si può essere felici con la bellezza, anche se parla delle disgrazie umane: a condizione di non dimenticare le disgrazie.

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Ma al ritorno in patria la musica cambia. La felicità raggiunta d’improvviso scompare, come il pallone che fugge dalle mani del bambino nella famosa poesia di Montale. A farla scomparire è uno che mi sta davanti nello scompartimento dell’Intercity, la luce cattiva dei suoi occhi, il suo gesto di disappunto. Ha il fisico del lottatore svizzero, ma non la sua grazia bovina. Un bestione elegante con camicia azzurra, gilet e auricolari all’orecchio. Ora si mette gli occhiali scuri, forse per nascondere la cattiveria. Muto scavalca, urtandole, le gambe della sua vicina di colore. Che sia un membro dell’Unione Democratica di Centro, uno di quelli che odiano gli stranieri?

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