Figli delle stelle

'My songs', il miglior Sting nella peggiore delle raccolte

Sting, 'My songs' - ★★✩✩✩ - Con tutta la devozione per il maestro, diciamo che un disco così forse non era necessario (senza forse)

Lo zio Gordon (Keystone)
9 giugno 2019
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Visto al concertone di Radio Italia (dalla pessima acustica televisiva), il 68enne Sting è integro come quello di Locarno 2017. Il titolo è chiaro: sono “Le mie canzoni” e quindi chi siamo noi per dire allo zio Gordon perché, quando, se e come vanno arrangiate. Il fatto è che tra le 19 tracce (bonus track più, bonus track meno), solo ‘If you love somebody set them free' – che pare uscita da una puntata di ‘Soul train’ – si stacca dall’originale, acquistando elettronica modernità. Il resto, in studio o live, è quel che si conosce già, o anche meno (come in 'Shape of my heart', che su disco, senza nessuno che sostituisca l'armonica di Larry Adler, soffre di solitudine).

Chi si attendesse da questo disco la rivisitazione, dunque, è nel posto sbagliato: lo Sting che rivisita Sting è fermo a ‘... All this time’, inciso l’11 settembre 2001 nella sua residenza toscana poche ore dopo il crollo delle Twin Towers, o in ‘Symphonicities’ (2010) con la Royal Philharmonic Orchestra (greatest hit sinfonico un tantino pachidermico per cotanto dispiego di orchestrali). In sintesi, e con tutta la devozione per il maestro, a noi ‘My songs’ sembra il disco da stampare tanto per andare in tour. Anche se dentro la botte – andando per metafore – c’è lo stesso vino buono prodotto dall’azienda agricola dell’ex Police. O, per dirla con i maiali, di Sting non si butta via nulla.

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