laR+ La recensione

‘Jurassic World’, ma quale Rinascita

Tante erano le aspettative, dal regista allo sceneggiatore del primo film a Scarlett Johansson. Il risultato: un disastro senza appello

Si salva Scarlett Johansson, un po’ alla Lara Croft
(Keystone)
4 luglio 2025
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Da anni il franchise-Jurassic ha alcuni problemi evidenti: il primo è la crisi di fiducia nei confronti della propria fondamentale valuta narrativa, i dinosauri. A cominciare dal primo reboot della saga, ‘Jurassic World’, del 2015, vengono introdotti gli ibridi geneticamente modificati, e i gestori del parco vengono puniti per aver creduto che fossero sufficienti più denti, scaglie, e tonnellate per rievocare le emozioni delle origini. Abbastanza incredibilmente, gli autori di film pubblicizzati col merchandising di creature dal nome ridicolo come ‘Indominus Rex’ o ‘Indoraptor’ sembrano non rendersi conto di fare esattamente lo stesso errore dei propri villain.

Il secondo problema riguarda sempre i dinosauri ed è quello della genericità. L’originale ‘Jurassic Park’, il capolavoro di Spielberg del 1993, tra le altre cose si preoccupava di creare una mitologia affascinante per ciascuna delle creature che riportava in vita, magari pseudoscientifica ma quasi sempre, diciamo così, fichissima: il nervo ottico del T-Rex, la triangolazione dei raptor, il veleno del dilofosauro. Non si trattava soltanto di zelo da nerd, ma di trovate cinematografiche che offrivano a ciascun attacco una propria coreografia: il velociraptor era il baritono, il dilofosauro il contralto, il t. rex il tenore. In questi ultimi episodi i dinosauri carnivori sono macchine da morte che differiscono solo per taglia e ruggito, mentre gli erbivori vengono messi al servizio di un pigro messaggio ecologico e hanno più o meno la stessa funzione di quei poveri orsi emaciati nelle pubblicità di Greenpeace.

L’ultimo problema è tematico: al di là del più evidente monito sui rischi della creazione, della genetica e dell’uomo che gioca a fare dio, la sceneggiatura del primo film era una pur grezza miniera filosofica. Natura e cultura, civiltà e caos, acqua e luce, Ego e Id, maschile e femminile. Se vi dicessi a freddo che ‘Jurassic Park’ era fondamentalmente un film sulla transizione di genere probabilmente pensereste che sono pazzo, e allora facciamo così: riguardatevelo e fatemi sapere.

Una soffocante tela di citazioni

Da tutto questo bagaglio archetipico gli autori degli episodi più recenti sono parsi per lo più infastiditi, se non terrorizzati, figli dell’epoca asettica del mindset imbarazzati dal torbido e lascivo groviglio psicanalitico della routine mentale dei padri. Comunque, anche se l’ultimo ‘Jurassic World - Il dominio’ (2022) era indifendibile, i primi due episodi della nuova trilogia, pur grossolani e fracassoni, avevano i loro momenti. Da questo ‘Jurassic World - La rinascita’, però, ci si aspettava altro: il ritorno dello sceneggiatore di ‘Jurassic Park’ David Koepp, Gareth Edwards alla regia, Scarlett Johansson un po’ alla Lara Croft. Acquolina in bocca, vero?

E invece ‘Jurassic World - La rinascita’ è un disastro senza appello, un film che ha tutti i difetti tipici delle più aride e calcolatrici tra le recenti produzioni hollywoodiane, e poi anche una serie di difetti tutti suoi. Fin dal prologo, è chiaro che per mancanza di idee proprie il film intende tessere una soffocante tela di citazioni degli episodi precedenti, ivi comprese le peggiori abitudini del franchise come gli incidenti stupidi. In questo caso c’è l’aggravante di un product placement sconcio, con un laboratorio ultra-tecnologico mandato in tilt da una cartaccia di Snickers.

Basta un tweet

Si dice a volte che un film sembra scritto dall’intelligenza artificiale, ma ‘Jurassic World - La rinascita’ all’intelligenza artificiale pare più che altro destinato, nel senso che potrà risultare un intrattenimento soddisfacente solo a chi abbia della buona vecchia umanità e delle sue emozioni un’esperienza esclusivamente algoritmica. È forse accettabile che nelle scene d’azione il mondo fisico di ‘Jurassic World - La rinascita’ sembri quello di Wile E. Coyote, meno che lo sembri anche il mondo psicologico. I personaggi hanno archi di redenzione in cui in una scena dichiarano “per me nella vita contano solo i soldi” e in quella successiva rischiano la vita per il bene comune. Cinque minuti dopo essersi conosciuti si dicono cose come: “Non contano i soldi, ma fare davvero la differenza”, o “pensiamo di dominare la Terra, ma non è così!”.

La trama – gruppo di avventurieri torna sull’isola per prelevare biopsie di dinosauro per conto di un’industria farmaceutica – è talmente sciatta e derivativa che in un tweet ci sta anche larga, i personaggi si dividono in con e senza ghigno scemo di quello che si farà sbranare, eppure ci vuole quasi un’ora di ingorgo narrativo, spiegoni superflui e dialoghi di rara insulsaggine perché si arrivi a una vera scena d’azione. All’incirca a metà film – lo giuro – Scarlett Johansson chiede agli altri: “Come si chiamano, più, i dinosauri che stiamo cercando?”. Il timore che lo spettatore possa essersi distratto e abbia bisogno di un ripassino, va detto, non è infondato.

Johansson è la cosa migliore del film, fa la mercenaria con una strana dolcezza ironica, ma il suo personaggio è scritto in maniera talmente svogliata e schematica che è impossibile animarlo davvero.

A un certo punto un personaggio osserva che “l’intelligenza come tratto evolutivo è molto sopravvalutata”. È una delle battute meno banali di ‘Jurassic World - La rinascita’, ma rischia di sembrarne anche il manifesto programmatico.