‘Non dire niente’, ‘Mountainhead’ e ‘Andor’, tre prodotti diversi tra loro che però, ognuno a modo proprio, dicono della stessa sensazione d'impotenza
Se escludiamo il costante flusso di avvenimenti, colpi di scena e mescolamento di tutti i registri drammaturgici possibile – un tempo era considerata una virtù del cinema asiatico, oggi il Presidente degli Stati Uniti agita lo spettro della Terza Guerra Mondiale mentre chiacchiera con i giocatori della Juventus; e intanto pariolini in camicia fanno l’aperitivo con un sassofonista che si esibisce davanti a un cielo attraversato da missili ipersonici – insomma se non consideriamo la realtà stessa come una gigantesca serie tv di pessimo gusto, allora ha ancora senso chiederci: come si può raccontare quello che sta succedendo intorno a noi? Come si racconta una realtà troppo vicina per essere vista a figura intera e non solo nei dettagli e, al tempo stesso, che si racconta da sola ogni giorno, ogni secondo (e anzi, si racconta anche inventando, fabbricando pezzi di realtà con la cosiddetta intelligenza artificiale)? Vi propongo tre diverse possibilità, tre prodotti audiovisivi molto diversi tra loro che, però, ognuno a modo proprio raccontano della stessa sensazione di impotenza che stiamo vivendo noi spettatori mentre là fuori il mondo brucia (ricordate che per guardare una serie tv serve un divano, al limite un tavolo, una casa, un palazzo non bombardato: ringraziamo il fatto di essere, ancora, semplici spettatori).
Prima opzione: raccontare il passato. ‘Non Dire Niente’ (Disney+) è una miniserie che in nove puntate copre quasi l’intero conflitto etnico-religioso tra la minoranza cattolica in Irlanda del Nord e la maggioranza protestante vicina all’Inghilterra. Dal punto di vista dei militanti dell’IRA e in particolare Dolours Price, giovane attivista che nel 1973, insieme alla sorella e a una piccola squadra partita da Belfast, ha piazzato quattro autobombe a Londra, facendone esplodere due, ferendo più o meno duecento persone e provocando la morte (per infarto) di un passante. Oltre alla storia di radicalizzazione di Dolorous, e quella di alcune figure di spicco dell’IRA come Gerry Adams, che da politico e firmatario dell’Accordo del Venerdì Santo (con cui, nel 1998, il conflitto si è formalmente concluso) ha poi rinnegato ogni suo coinvolgimento, ‘Non Dire Niente’ racconta anche quella del rapimento e dell’omicidio di Jean McConville, una madre sola con dieci figli a carico, accusata ingiustamente di essere una spia inglese. La serie è bella, coinvolgente e ricca di sfumature, ma di fatto ci ritroviamo a fare il tifo per chi – non più di trent’anni fa, in Europa – organizzava attentati terroristici e moriva di fame per una ‘causa’ (l’indipendenza dell’Irlanda) e la cosa più strana è che lo facciamo loggandoci sulla piattaforma streaming a pagamento di proprietà di una delle più grandi multinazionali esistenti.
Opzione numero due: raccontare il presente. Una volta finito ‘Succession’, la serie drama più di successo post-epoca d’oro, il primo progetto a cui si è dedicato il suo creatore, Jesse Armstrong, è ‘Mountainhead’ (HBO Max), un filmetto semicomico semidistopico totalmente derivativo di ‘Succession’ stessa. Sembra la parodia di uno di quegli episodi ambientati in rifugi svizzeri o su yacht in mezzo al mare. In ‘Mountainhead’, quattro degli uomini più ricchi del pianeta – due magnati tech, un finanziere e uno senza apparenti doti, che infatti è il più povero tra loro – si riuniscono in una villa in montagna con dentro campi da basket e piste da bowling per una partita di poker. Uno di loro ha appena lanciato un servizio sul proprio social network che permette alle persone di creare video realistici polarizzanti, scatenando conflitti in più parti del mondo. Finiscono a passare il week-end scrollando news apocalittiche una dopo l’altra e, anziché inorridire o mettere mano alla situazione, complottano colpi di Stato in Argentina e boicottaggi al sistema elettrico belga.
‘Mountainhead’ ridicolizza i vari Musk e Bezos mostrandoceli come idioti distaccati dalla realtà, che parlano di diventare immortali mentre provano a fare un uovo sodo senza aggiungere acqua nel pentolino, ma non va molto oltre questo. Sembra che Jesse Armstrong, abbandonando il realismo quasi documentaristico di ‘Succession’, che non aveva nessuna pretesa profetica, non abbia saputo dare una direzione a ‘Mountainhead’, lasciando che esplodesse in mille pezzi come un razzo malfunzionante di Space X. Rispetto a ‘Succession’, dove non mancavano momenti comici, in ‘Mountainhead’ non c’è altro che la consolazione dello sberleffo: dimentichiamo che, il potere, a questo genere di persone senza empatia né contatto con la realtà, in un modo o in un altro glielo abbiamo dato noi. Qual è la nostra causa? Contro cosa dovremmo lottare? Non ne abbiamo idea, forse è questo che indirettamente vuole dirci uno degli autori più acuti di questi anni.
Arriviamo così all’opzione numero tre: raccontare il futuro. ‘Andor’ (Disney+) è una serie Star Wars dai toni più seri e cupi del resto dei prodotti derivati dalla saga originale di George Lucas. Riprende il tema della ribellione all’Impero, strisciante e sotterranea, descrivendo il contesto di pianeti usati come fabbriche gigante e prigioni-campi di lavoro da cui non si può uscire neanche quando la propria pena è terminata. Cassian Andor è un ladruncolo senza ideologie né cause che viene “politicizzato” all’inizio controvoglia e poi con sempre più convinzione. Se ‘Non Dire Niente’ sembra l’operazione di chi non riesce a fare il collegamento tra ciò che è successo in passato e ciò che sta accadendo oggi, di una cultura che non ha imparato dai propri errori, il rapporto tra ‘Andor’ e la realtà contemporanea è troppo esplicito perché possa essere un caso. Mentre i quadri Disney erano distratti dalle vendite dei pupazzi di Baby Yoda, qualcuno ha dato vita a una serie di propaganda anti-imperiale (e, per questo, più in linea con l’originale Star Wars di qualsiasi sequel o prequel). Ecco un piccolo elenco di citazioni di Andor che, se le scriveste sui vostri social network, rischierebbero di farvi finire nel radar di uno o più servizi segreti: “L’autorità è fragile, l’oppressione è la maschera della paura”. “L’ascia dimentica, l’albero no”. “L’oppressione coltiva la rivolta”. Oppure: “Verranno tempi in cui combattere sembrerà impossibile. Da soli, sfiduciati, sopraffatti dalla grandezza del nemico. Ma ricordate questo: la libertà è un’idea pura. Nasce spontaneamente e senza imposizioni”.
‘Andor’ è una simbolica chiamata alle armi, un invito a ribellarsi e a non accettare passivamente l’ingiustizia. Molti giornali, compreso il Guardian, non hanno esitato a fare il parallelo tra la serie con quello che sta succedendo in questi mesi a Gaza e, più in generale, con il cieco cinismo di chi per il profitto è pronto a mandare in malora l’intero pianeta. Ma forse la serie non ha causato polemiche o richieste di cancellamento perché, appunto, è soltanto una serie tv. Almeno per quanto riguarda le storie siamo tutti d’accordo, persino chi opprime, invade e uccide, in quanto essere umano, non può non essere dalla parte degli invasi, degli oppressi, degli assassinati. O forse c’è qualcuno che guardando ‘Andor’ si immedesima nello spietato zelo dei burocrati dell’Impero?