(E non solo la storia argentina dell’ultimo secolo) Su Netflix l’ambizioso adattamento del fumetto pubblicato sul finire degli anni 50
La storia, sembra abbia detto una volta Karl Marx, si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa. Se c’è qualcosa che abbiamo imparato tra il Novecento e i nostri tempi è che Marx si sbagliava solo nel volume potenziale di ricorsività: la storia non si ripete solo due, ma innumerevoli volte, e quella che ci sembra farsa, spesso, è solo una tragedia meno percepita, mascherata da farsa. Alcune opere di finzione hanno la pretesa (e il valore) di spiegarcelo servendosi del piano metaforico: L’Eternauta, fumetto scritto da Héctor Oesterheld e disegnato a più riprese da Francisco Solano López e Alberto Breccia, pubblicato per la prima volta sul finire degli anni 50 e oggi finalmente oggetto di un ambizioso adattamento televisivo diretto da Bruno Stagnaro, lanciato da una settimana sulla piattaforma Netflix, ne è esempio lampante.
Che non potesse esserci momento più puntuale per presentarsi come strumento interpretativo – o messaggio divisivo, o rilettura del passato – lo si capisce già dai primi fotogrammi, in cui la gente scende in strada per un cacerolazo, con pentole e riottosa rumorosità presto sedata dalla polizia, per protestare contro un black-out improvviso: a chi non sono tornate in mente le strade di Buenos Aires durante il corralito del 2001 o le scene di Madrid-senza-energia-elettrica di qualche giorno fa? Oppure quelle delle marchas de los jubilados di marzo, soffocate dalle forze dell’ordine di Milei in Argentina? Si capisce subito, insomma, che L’Eternauta parla anche e soprattutto dei nostri tempi: ma a chi parla davvero, oggi? Chi vuole sentirsi recapitare il suo messaggio? In Argentina, oggi come ai tempi della prima pubblicazione, ha sollevato un bel polverone. Da una parte è stato tacciato di kukismo, cioè di trasmettere un messaggio uberperonista – che fu, in fondo, il motivo per cui in piena Revolución Libertadora, dopo la prima esautorazione a colpi di bomba di Perón, venne ritirata dalle edicole. Dall’altra, movimenti sociali come quello delle Abuelas de Plaza de Mayo hanno cavalcato l’hype suscitato dal lancio della serie per tornare a gridare la loro denuncia. Lo stesso Oesterheld fu un desaparecido, detenuto – secondo il registro degli scomparsi elaborato dal Conadep – a Campo de Mayo prima e a El Vesubio poi: i militari lo prelevarono dalla sua abitazione nel 1977, un anno dopo la sparizione di due delle sue figlie (di cui una, Diana Irene, incinta di sei mesi) e pochi mesi prima della sparizione di un’altra figlia (Marina, incinta di otto mesi). Oggi le Abuelas, rivolgendosi agli spettatori della serie, scrivono “Se sei nato tra novembre del 1977 e gennaio del 1978 e hai dubbi sulla tua identità, contattaci”. A una settimana dall’uscita della serie, le persone dubbiose circa la loro identità che hanno contattato le Abuelas sono state 106 (l’anno scorso, nello stesso periodo, erano 18). Magari, tra gli spettatori della serie, c’è uno dei nipoti di Héctor Oesterheld.
Eppure, nonostante le inevitabili strumentalizzazioni, L’Eternauta non sembra prendere le parti di nessuno: anzi, una delle prime frasi pronunciate da Juan Salvo, il protagonista principale interpretato dal sempre più iconico Ricardo Darín (El secreto de sus ojos, Argentina 1985), lascia chiaramente intendere come nessuno, nella storia argentina, si salvi davvero: «Proteste, proteste…» dice in una delle prime battute. «Forse il problema sei tu, pensaci».
Il senso che permane dopo i sei episodi da un’ora ciascuno è che L’Eternauta sia sì una serie eminentemente argentina, ma in fondo universale: il perno attorno al quale ruota tutta la storia è un’invasione aliena, preannunciata da una nevicata letteralmente mortifera, che copre la città di Buenos Aires (ma si intuirà, poi, che sta avvenendo ovunque). Si scoprirà, nel corso della storia, che la nevicata è la prima fase di un’invasione aliena, che porterà sulla Terra dapprima degli insetti giganti, e successivamente i veri mandanti, quelli che nel fumetto si chiamano manos (letteralmente mani, ma anche un’abbreviazione di hermanos, fratelli), umanoidi dotati di mani piene di dita, intelligenti, manipolatori, pronti a reclutare nelle loro fila umani asserviti ai loro scopi attraverso l’impianto di una ghiandola del terrore che uccide chi ha paura. E la maniera migliore per non avere paura, da sempre, è obbedire ciecamente. Asservirsi all’ordine. E con le dita: indicare il nemico. Che magari è il tuo vicino di casa. Il tuo collega di lavoro. Tuo padre. Tuo figlio. Chi sta guardando la serie. Nella capitale argentina, da quando esistono dati a registrarlo, è nevicato soltanto tre volte: significa quindi che è qualcosa di inusuale, sì, ma non impossibile. Nella nostra storia, di fronte all’inspiegabilità degli effetti della coltre bianca, che uccide chiunque si trovi esposto ai fiocchi, i personaggi (su tutti Favalli, uno dei migliori amici di Juan Salvo, compagno di partite di truco, interpretato da César Troncoso) cercano appiglio nella scienza. Ma la verità è che a volte una spiegazione non c’è: c’è solo un’incredulità che si raggruma pian piano, fino a diventare normale. Così è stato negli anni Settanta di fronte alla sparizione di militanti rastrellati dai militari e presto diventati desaparecidos, così è davanti agli insetti giganti che si aggirano per le tue strade divorando la libertà.
Sotto uno spleen da fine del mondo, ognuno reagisce a suo modo: c’è chi prega, chi si suicida, a chi viene naturale organizzare una resistenza e a chi abbandonarsi all’ineluttabilità dell’homo homini lupus. È soprattutto in questo che L’Eternauta di Stagnaro si dimostra pronto (e abile) a raccogliere l’universalità dell’atteggiamento umano di fronte a una minaccia altra. All’epoca della prima uscita, raccontando i fatti Oesterheld pensava al regime militare di Onganía e finiva per prevedere le nefandezze della Junta. Oggi Stagnaro attinge alla cultura del sospetto, della delazione, dell’imbarbarimento del ‘nessuno conosce nessuno’ del Proceso di Reorganización Nacional, certo, ma anche della peggior crisi argentina dei nostri tempi, quella del 2001: per prevedere cosa non lo sappiamo. O forse non vogliamo saperlo.
Nel fumetto, Oesterheld non era che un tramite (che era poi anche il suo compito da militante sotto dittatura: inviare comunicati e smistare corrispondenza). La storia che raccontava non era di fatto che un relata refero di quanto visto da Juan Salvo durante le sue peregrinazioni nel tempo (da qui L’Eternauta). Cosa faceva, Salvo, a zonzo nel tempo? Cercava una soluzione per evitare l’invasione aliena. O magari una spiegazione: perché era successo? Come era stato possibile? Nella serie, Juan Salvo raccoglie quel testimone testimoniante: l’eternautismo, c’è da intendere, è una meravigliosa occupazione senza sosta, che è continuata negli anni, si è protratta ben più in là delle nostre contingenze. Quel che Salvo-Darín racconta: l’ha per caso già visto? Stagnaro sembra dirci: guardate che Juan Salvo sa. E chi vuol capire, capisca. «Non è la bussola», dice Salvo a Favalli quando si rendono conto che neppure uno degli strumenti più antichi del mondo riesce a fornirgli coordinate per comprendere la catastrofe che stanno vivendo. «È il mondo che si è rotto». Oesterheld, Stagnaro, Juan Salvo, Ricardo Darín non stanno predicendo il futuro: stanno semplicemente raccontando il passato, che è però fatto della stessa materia di cui è lastricato il presente, e chissà, il futuro. Contribuiscono a dargli forma, a darcene contezza, a riaffermarci l’intuizione.
Sotto un altro punto di vista, L’Eternauta è anche una messa in scena della mismatch dei valori in campo in ogni battaglia insensata, che è sempre la storia di un invasore troppo più armato, potente, sfacciato, perfido dell’invaso, il racconto di una disparità di motivazioni, e in ultima istanza di quanto ogni invasione sia, secondo i parametri moderni, in fondo, appunto, insensata. La neve, gli insetti che si muovono in trincee sotterranee, i cieli notturni illuminati a giorno, le piogge missilistiche trovano, nel racconto argentino ma universalissimo di Stagnaro, un antecedente illuminante nel conflitto al quale Juan Salvo – in una delle sue peregrinazioni future inimmaginabili, o forse no, per Oesterheld – ha partecipato: il Vietnam del Paese del Sol de Mayo, la guerra per le Malvinas/Falklands del 1982. Gli alieni, allora, sono gli inglesi, anche se a muoversi sottoterra erano i soldati argentini (poco importa che fossero scarafaggi o armadilli, pichiciegos, come nel titolo originale del romanzo di Rodolfo Fogwill tradotto in Italia con il titolo Scene da una battaglia sotterranea); la neve è quella dell’inverno australe, che ti fa venire voglia di fumare sigarette che non ci sono mai, le motivazioni degli alieni determinati ad appropriarsi di questo zoccolo di minerale vituperato dai suoi abitanti che è la Terra sono le stesse dell’esercito argentino con quell’ammasso di scogli nel cuore dell’Atlantico. L’impossibilità di fronteggiarsi ad armi pari, ancora, sono le stesse degli argentini di fronte all’esercito britannico (ma anche, oggi, di quello ucraino di fronte a quello russo, o della Palestina davanti al genocidio mascherato da invasione preventiva di Israele).
Uno dei messaggi più potenti de L’Eternauta, allora, è che sebbene inizialmente l’istinto sia quello di rifugiarsi nell’ipotesi militaristica (nel fumetto e nella serie, così come successo nella realtà, i cittadini confluiscono a Campo de Mayo, la più grande base militare dell’Argentina, ma negli anni Settanta anche centro di detenzione), la resistenza vera, in fin dei conti, è sempre stata quella che si fa in gruppo, unendo le proprie individualità. Questo perché nessuno si salva da solo: non esistono eroi solitari, l’unica vera salvazione possibile è quella che si raggiunge insieme. Anche se la battaglia è apparentemente impari, e a combattere tra le file del nemico finisci per trovarci anche il tuo vicino di casa, il tuo collega di lavoro, i tuoi figli. E sempre che a nessuno, come capita a una dei protagonisti, venga mai desiderio di arrendersi, di pronunciare la più mesta delle frasi: «Sono stanca di resistere».