Il Teatro dell’Architettura abbraccia il più volte nominato studio ecuadoriano, finalmente destinatario del BancaStato Swiss Architectural Award 2024
“Sull’orlo”, “al limite”. O anche “fuori dalla zona di comfort”. Parole, queste ultime, pronunciate da David Barragán per tradurre e sintetizzare Al Borde, studio di architettura nato nel 2007 a Quito, in Ecuador. Barragàn ne è il fondatore insieme a Pascual Gangotena, Maríaluisa Borja ed Esteban Benavides, tutti laureati alla Scuola dell’Architettura, Design e Arti della Pontificia Universidad Católica dell’Ecuador. I quattro, le cui apparizioni in contemporanea paiono essere rare, sono al Teatro dell’Architettura Mendrisio per ritirare il BancaStato Swiss Architectural Award 2024 promosso dalla Fondazione Teatro dell’Architettura. Un piano sotto la conferenza che ha introdotto premio e premiati, e cioè alle pareti dell’Auditorio, si dipana la mostra che raccoglie le fotografie dei tre progetti presentati dai vincitori insieme a tutte le altre proposte.
“È un allestimento che simula la presentazione dei lavori così come sono arrivati alla giuria”, spiega Nicola Navone, segretario del premio. La mostra, aperta dal 9 maggio al 5 ottobre, verrà inaugurata l'8 maggio alle 18.30 alla presenza dei quattro di Al Borde, che hanno dato priorità fisica a Mendrisio rispetto a Venezia, dove per la 19esima Mostra internazionale di Architettura – La Biennale sono stati invitati a esporre le opere intitolate ‘Intellinges. Natural. Artificial. Collective’.
Nel corso della serata, Barragán e soci terranno una lezione pubblica sul lavoro dello studio e sul contesto in cui esso si muove. “Oltre all’approccio collettivo alla progettazione e alla costruzione, che si riflette anche nel coinvolgimento delle comunità locali, e alla particolare attenzione agli aspetti climatici – recita la motivazione della giuria –, le opere di Al Borde manifestano un’interpretazione ampia e profonda del concetto di sostenibilità, perché radicata nella storia dell’architettura e in un ampio spettro di riferimenti che vanno dalle tecniche costruttive tradizionali alle sperimentazioni moderne”, temi affrontati “con singolare coerenza e radicalità”.
JAG Studio
Learning Viewpoint a Guayaquil, Ecuador
Nel 2020, l’editore messicano Arquine ha pubblicato la prima monografica dedicata allo studio Al Borde, ‘Less is All’, e per questo ‘meno’ che è ‘tutto’ i quattro hanno vinto molti premi, fino a guadagnarsi un posto tra i cento studi di architettura più importanti al mondo per la rivista ‘Domus’. “Quando ho parlato dello Swiss Architectural Award in Ecuador – dice con ironia Barragán a Mendrisio – ho spiegato come si trattasse di un premio pressoché impossibile perché non ti ci puoi iscrivere, devi essere nominato. Ma siamo stati nominati tre volte, e quando abbiamo ricevuto la terza mi sono detto: ‘Non vorranno nominarci una quarta!’”.
Era stato Riccardo Blumer, nel far le veci del direttore dell’Accademia, Walter Angonese, a ricordare come si giunga al BancaStato Swiss Architectural Award solo se selezionati dai grandi della categoria. “Parlo come scuola: il premio è un’occasione unica di confronto con i fermenti dell’architettura contemporanea”, oltre che opportunità per i premiati di tornare a Mendrisio in qualità di insegnanti, per un semestre, due o anche più. Da Blumer è giunta l’anticipazione di come il BancaStato Swiss Architectural Award abbia da quest’anno anche una forma fisica: ‘L’uomo crea confini. La natura cammina dentro e fuori dai confini’ è l’opera realizzata da Flavio Paolucci, “segno tangibile del premio” e occasione per valorizzare il legame del premio stesso con il Ticino.
Sul significato del riconoscimento, e sui contenuti nemmeno troppo reconditi, così si era espresso a sua volta Mario Botta, presidente della Fondazione Teatro dell’Architettura e della giuria del premio: “Sempre più, all’interno della complessità del vivere odierno, abbiamo scoperto negli anni attraverso il premio che sono i Paesi più poveri a dare le indicazioni più ricche, quelli che per necessità devono usare meno energia, operare con sostenibilità reale e non solo nominativa. Fin dalla prima edizione, l’America Latina con Solano Benitez ci ha dato modo di scoprire come i materiali di costruzione tra i più poveri, quelli residui, di scarto, i meno opulenti prodotti dalla società, siano diventati di colpo strumenti della costruzione. Da questo punto di vista, il premio è stato profetico, preferendo alle grandi forme cervellotiche della società dei consumi la necessità del vivere collettivo, nel quale stavano soluzioni per noi esemplari”.
Botta ha ricordato il già Segretario di Stato Charles Kleiber, scomparso in gennaio: “Ci ha aiutati a trasformare questo nostro premio nato dall’iniziativa dell’Accademia in un premio nazionale, convincendo le scuole di Zurigo e Losanna ad aggregarsi a noi, ultimi nati, ulteriore passo di credibilità”. Quella in mostra è per lui “un’enciclopedia dell’architettura degli ultimi anni”, ovvero i 31 candidati da 17 Paesi, con approfondimento ‘luminoso’ (vetrofanie) dedicato allo studio prescelto, destinatario di un premio in denaro (100mila franchi) che diviene ancor più ricco con l’opportunità didattica annessa.
Si muovono “nel territorio del dubbio, dove le certezze su ciò che l’architettura dovrebbe o non dovrebbe essere sono in costante evoluzione”. Le loro idee si sviluppano “in corso d’opera, precisandosi nella relazione con il luogo”, perché “costruite con le risorse e le tecniche locali”, con il territorio “variabile specifica e unica”. E diventano “una radiografia di un determinato luogo e dei costumi delle persone che lo abitano, della loro storia, dei loro problemi e dei loro bisogni”. Sono concetti espressi dallo studio Al Borde che seguono il conferimento dell’Award, ma l’approccio verso l’architettura è ancor più lucido nelle parole di Barragán davanti ai tre progetti in mostra, la Biblioteca comunitaria Yuyarina Pacha a Huaticocha e il Learning Viewpoint a Guayaquil, entrambi in Ecuador, e il Raw Threshold a Sharjah, negli Emirati Arabi Uniti: “Non saprei come definire il nostro lavoro. So che quando guardo a quel che abbiamo prodotto penso sempre all’idea di costruire qualcosa che sia realizzabile con le nostre mani”.
JAG Studio
La biblioteca comunitaria Yuyarina Pacha