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La poesia guarisce

È la Giornata mondiale. Guarisce dalla disidratazione dell’anima, dall’assenza di senso nella quale oggi è facile cadere

21 marzo 2025
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Il poeta è un rivoluzionario. Un rivoluzionario non violento: le sue armi sono le parole, la sua ideologia la benevolenza: perché mettere al mondo una poesia vuol dire fare del bene agli altri. O meglio, illudersi di fare del bene, perché spesso gli altri non ne vogliono sapere.

Il nemico da combattere, in letteratura come nella vita, è l’affettazione. Ma come si fa, chiederete, ad accorgersi se un poeta è vero o affettato? Basta ascoltare la musica: se la campana suona fessa, brutto segno: vuol dire che il versificatore non aveva niente da dire e si è arrampicato sui vetri.

La poesia è spontanea? Non credo. Spontanei sono la sensibilità, il punto di partenza, il talento. Poi c’è il lavoro sulla parola, che però deve essere come quello del pesce che muove le pinne sott’acqua ma lo si vede filar via senza che ci si accorga del suo lavorio subacqueo. Spontanea è la sete. La poesia é l’acqua fresca che disseta.

Mio nipotino di sette anni è poeta. Tornato a casa dal primo giorno di scuola, è andato a fare una passeggiata con sua madre e ha detto: – Je marche dans la liberté, come fosse Paul Eluard. Ha già intuito che la scuola, se fatta in un certo modo, è una prigione che tarpa le ali.

Fare poesia significa camminare nella libertà. Il camminare del poeta è come il volare per l’uccello: il suo limite è che non sa staccarsi da terra.

Spesso si confonde la poesia con l’andare a capo. Il poeta va a fondo, non a capo.

Scrivere versi è come fare la respirazione addominale: si inspirano cose e si espirano, lentamente, parole.

La poesia non nasce su terreno vergine: è un organismo vegetale che ha bisogno di essere concimato da letture, esperienze, sudate carte. Allora, se tutto va bene, soprattutto se la terra è quella giusta, l’arbusto mette foglie, rami e, forse, fiori.

La poesia spiegata in pubblico perde di mistero. Il poeta si trasforma in professore e dice: ecco, è così che i miei versi vanno letti. Invece, il lettore, i versi li legge come vuole. Certo, se uno fa una domanda, il poeta è tutto contento di rispondere: ma non tocca a lui fare l’esegeta di sé stesso, dire com’è nata la poesia, chi si nasconde dietro le immagini. È come se Leopardi ci dicesse chi è veramente Silvia. Silvia è tutte le donne.

La seconda bellezza

La bellezza fa sì che la rosa sia immortale, se messa in versi, e non perda mai il suo splendore, dice William Carlos Williams. Il poeta coglie la bellezza, che appare in certi momenti della vita, e la ferma sulla carta, la appunta con lo spillo, come fosse una farfalla. Ma, attenti, c’è anche una seconda bellezza: la “beauté seconde de certaines vies” di cui parla Gustave Roud nel Petit Traité de la marche en plaine. Il grande, poco conosciuto romando porta un esempio preso dalla quotidianità: nel corso di una delle sue passeggiate nella campagna di Carrouge, nell’ Haut Pays de Vaud, incappa in un aratro abbandonato: un utensile, una cosa che, al di là del proprio fine utilitario, può essere apprezzata “per sé stessa”. Quell’oggetto rimanda a un’altra vita: la mano del contadino che ne ha fatto uso, lo zoccolo del cavallo che è affondato nel solco del campo arato. È questa la bellezza seconda non utilitaristica del poeta.

Il ‘Secondo manifesto del surrealismo’, pubblicato nel 1930, dichiara: “L’azione surrealista più semplice consiste, rivoltella in pugno, nell’uscire in strada e sparare a caso, finché si può, tra la folla”. E il ‘Manifesto del futurismo’ del 1909, scritto da Filippo Tommaso Marinetti – che poi diventerà fascista – dice: “Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna”.

Certo, son battute da intellettuali, provocazioni, stupidate: ma evocano il nichilismo, la violenza dei nostri giorni, il divorzio dell’etica dall’estetica. Basterebbe questo per ridimensionare certe poetiche, esaltate da intellettuali sprovveduti.

C‘è la similpoesia e c’è la poesia. La prima intristisce, la seconda guarisce. Da che cosa guarisce la poesia? Dalla disidratazione dell’anima: le porta nuova linfa. La poesia guarisce dall’assenza di senso nella quale è facile cadere, ai giorni nostri. La poesia guarisce dalla banalità nella quale rischiamo di annegare. La poesia guarisce dalla frigidità estetica, dalla desertificazione interiore.