Un rapporto degli studiosi Christian Ruch e Andrea Tognina fa il punto sullo stato delle ricerche sulla diffusione dei totalitarismi nel dopoguerra
È una vicenda storica ancora avvolta da molte ombre quella del rapporto fra i Grigioni da una parte e il nazionalsocialismo e il fascismo dall’altra. Due totalitarismi con cui il cantone retico nel primo dopoguerra si trovò doppiamente confrontato per la sua posizione geografica confinante a nord con l’Austria, annessa dal Reich nazista nel 1938, a sud ed est con l’Italia fascista di Mussolini. Su questa parte ancora poco nota della storia svizzera prova a far luce il rapporto elaborato dai due storici Christian Ruch e Andrea Tognina e commissionato dal Canton Grigioni in seguito alle polemiche scaturite dalla scoperta di un monumento nazista nel cimitero Daleu di Coira nel gennaio 2023.
Un rapporto che in primo luogo, come spiega Andrea Tognina, che si è occupato specificatamente degli aspetti legati al fascismo italiano, fa il punto sullo stato attuale della ricerca e della documentazione sul tema, suggerendo quali fonti utili potrebbero ancora essere reperite e dove: uno strumento di lavoro, più che un lavoro finale, per colmare le lacune, rispondere ad alcune domande ancora aperte e formularne di nuove. A partire, per quanto riguarda il Grigioni italiano, dalla percezione meno accentuata del pericolo fascista rispetto al suo alleato tedesco.
«Ho l’impressione – afferma lo storico – che i rischi del fascismo siano stati talvolta sottovalutati rispetto a quello del nazionalsocialismo, sia all’epoca dei fatti, sia successivamente. Per quanto riguarda la presenza nazionalsocialista tedesca, aveva fatto scalpore all’epoca l’omicidio a Davos del Gauleiter (capo di una sezione locale del Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi ndr) Wilhelm Gustloff, a cui era seguito un processo in cui era emersa anche la forte penetrazione del nazionalsocialismo nella comunità tedesca, mentre il fascismo era rimasto più nell’ombra. E questo anche se c’erano organizzazioni fasciste in varie località del cantone.
Nell’immediato dopoguerra le autorità federali procedono all’espulsione di un gran numero di aderenti alle organizzazioni nazionalsocialiste, mentre nei confronti dei fascisti, almeno al di fuori del Ticino, procedono con maggiore clemenza. È interessante notare però che in alcuni casi le autorità locali delle valli meridionali dei Grigioni segnalino a Berna che per loro la minaccia più immediata durante la guerra era la presenza delle organizzazioni fasciste italiane».
Come si legge nel rapporto, infatti, in varie località, da Davos alla Val Poschiavo e l’Engadina, nonché in Mesolcina, esistevano diversi Fasci (sezioni locali del Partito fascista) e varie organizzazioni femminili, ricreative e giovanili a essi collegate, oltre alle scuole italiane.
Esisteva persino una squadra di calcio espressione dei Fasci, il Littorio, fondato nel 1934 a Coira, e la Coppa Mussolini di sci a Davos. La presenza nel cantone di organizzazioni sia nazionalsocialiste che fasciste, afferma Tognina, rende i Grigioni un caso di studio particolarmente interessante.
Quali sono le principali caratteristiche del fascismo nel Grigioni italiano?
Il cantone ospitava già una nutrita comunità italiana. In più sul Grigioni italiano c’erano già rivendicazioni, anche precedenti la prima guerra mondiale, da parte dell’irredentismo italiano, con testi che parlavano di un confine naturale dell’Italia che passa attraverso la linea dello spartiacque, quindi estendendosi a Bregaglia, Valposchiavo, Val Monastero e Mesolcina. Nel corso degli anni Venti e soprattutto Trenta questo discorso si sposta ancora più a nord: partendo dall’asserzione che il romancio fosse fondamentalmente un dialetto lombardo alpino, e quindi parte dello spazio culturale italiano, le rivendicazioni si spostano dallo spartiacque fino al Reno, finché, sull’onda del discorso irredentista si arriva al famoso concetto di catena mediana delle Alpi. Quindi tutto il Canton Grigioni rientra, nella visione di questi gruppi, nello spazio geopolitico che l’Italia deve rivendicare per garantire la sua sicurezza.
Tuttavia Mussolini, opportunisticamente, per mantenere buoni rapporti con la Confederazione da un lato ne garantisce la sovranità definendo l’irredentismo una corrente minoritaria e non rappresentativa del fascismo, dall’altra lo usa anche come strumento di pressione politica, finanziandone ad esempio le pubblicazioni.
C’era, al di fuori delle comunità italiane, una fascinazione nei confronti del fascismo anche nella popolazione svizzera?
Bisogna distinguere tra simpatie e vere e proprie organizzazioni: queste ultime erano espressione fondamentalmente della comunità italiana e non attecchivano al di fuori, salvo episodi sporadici come una sezione di Coira della Federazione fascista del colonnello romando Arthur Fonjallaz, che però ha vita breve.
Si può ritenere, ma è solo un’ipotesi, che essendo quella grigionese una società tradizionale e con strutture gerarchiche solide, non ci fosse lo spazio politico per l’affermazione di nuovi movimenti autoritari e conservatori. Si può però parlare di quello che lo storico svizzero Marc Perrenoud ha definito “le champ magnétique” di Mussolini: ovvero quell’area che non si può definire propriamente fascista ma che è attratta dal modello autoritario corporativo e tradizionalista. Ad esempio sulla Gasetta Romontscha, il giornale della Surselva, ci sono molte espressioni di simpatia per Mussolini, visto come baluardo contro il socialismo – l’ostilità verso il socialismo è del resto ampiamente diffusa fra i partiti borghesi nei Grigioni.
Trattandosi di un giornale cattolico-conservatore, la Gasetta condivide anche l’antiliberalismo del fascismo e loda gli sforzi del Duce di restituire alla religione un ruolo centrale nella vita pubblica. C’erano poi singole personalità molto vicine al fascismo, come il teologo protestante Giovanni Luzzi, traduttore della Bibbia in italiano, che a Poschiavo aveva contribuito a creare il Fascio ed era stato ricevuto da Mussolini a cui aveva regalato 500 copie del Nuovo Testamento tradotte in italiano e che riteneva il fascismo un movimento positivo di rinnovamento dello Stato italiano, che ripristinava i valori religiosi tradizionali.
Qual era, invece, la situazione in Mesolcina?
Il governo grigionese nel suo rapporto del 1946 sulle attività fasciste e nazionalsocialiste durante i decenni precedenti accenna solo vagamente alla presenza di organizzazioni fasciste in Mesolcina, ritenendo che fossero piuttosto orientate verso Bellinzona e il fascismo ticinese. Negli archivi grigionesi non vi sono purtroppo molte tracce. Forse occorrerebbe indagare più a fondo anche gli archivi ticinesi.
Come operavano i fascisti grigionesi? Ci sono state azioni concrete?
L’irredentismo è fondamentalmente uno strumento di propaganda culturale. C’è un’enorme attività pubblicistica sul tema dell’italianità di una parte della Svizzera e della cosiddetta catena mediana delle Alpi, in cui spesso si parla anche dei Grigioni. C’è una rivista, “Raetia”, fondata all’inizio degli anni Trenta in Italia dalla Società Palatina di Milano, che vuole essere una rivista culturale ma che ospita numerosi articoli di chiaro sapore irredentista, dove si attribuiscono nomi italiani a località grigionesi, si sottolinea la romanità dei Grigioni: c’è, in sostanza, un tentativo continuo di infiltrazione culturale, di sostenere che i Grigioni sono italiani e hanno tutto l’interesse a entrare nella sfera di influenza italiana.
Ci fu un’enorme campagna in occasione della votazione, nel 1938, per inserire il romancio come quarta lingua nazionale, con volantini in cui si sosteneva che il romancio fosse, come detto, un dialetto italiano e i romanci avrebbero dovuto adottare l’italiano come lingua scritta. La campagna fu un fallimento ma queste iniziative preoccupavano anche le autorità grigionesi, memori anche degli eventi in Alto Adige, la cui presunta italianità, alimentata dalla propaganda irredentista, fece sì che le potenze dell’Intesa lo promettessero all’Italia in cambio dell’ingresso in guerra al loro fianco.
Quale fu, dunque, l’atteggiamento delle autorità?
La propaganda irredentista era generalmente accolta con fastidio, anche da parte di simpatizzanti grigionesi del fascismo. Quanto alle autorità, il governo cantonale intervenne sovente a Berna per chiedere misure contro la diffusione di pubblicazioni irredentiste e vi furono innumerevoli interventi della rappresentanza svizzera a Roma per chiedere spiegazioni a Mussolini.
La difesa della sovranità nazionale non si traduceva necessariamente in aperto antifascismo, tanto più che Mussolini tendeva egli stesso a prendere le distanze dall’irredentismo nei colloqui con la Svizzera, ma si può ritenere che la crescente pressione irredentista abbia contribuito ad aumentare la consapevolezza dei rischi che il regime fascista poteva rappresentare per la Svizzera.
Per contro, stupisce che, ad esempio, non sia stato preso alcun provvedimento, almeno a nostra conoscenza, contro la partecipazione di bambini svizzeri alle attività delle organizzazioni fasciste della comunità italiana, come i corsi di educazione civica o le colonie al mare, che erano comunque degli strumenti di propaganda.
Dato che le organizzazioni erano legate al consolato italiano di Coira, e dunque inserite in un contesto ufficiale, c’era l’idea che si occupassero soprattutto di cultura e tempo libero e non fossero poi così minacciose, ignorando, volenti o nolenti, il fatto che fossero anche strumenti di indottrinamento. C’era una sorta di normalizzazione, forse sorretta dall’idea che l’inquadramento degli operai italiani in organizzazioni fasciste fosse preferibile a quello nei sindacati di ispirazione socialista: la visione corporativa di una società organica in cui tutti insieme si lavora per il benessere della comunità senza conflitti piaceva sicuramente anche a una parte della società grigionese.