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Storie dal mondo in Concorso

Non ci convince ‘Kontinental ’25’ di Radu Jude. ‘Yunan’ di Ameer Fakher Eldin invece sì. Anche ‘Drømmer’, parte della trilogia di Johan Haugerud

Radu Jude
(Keystone)
19 febbraio 2025
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Ancora tanti film alla Berlinale. L’annunciato sciopero dei mezzi di trasporto pubblici, oltre a far contenti i taxi, ha messo in evidenza un grave problema di questo Festival: la frammentazione dei luoghi di proiezione non collegati tra loro, per cui intere sezioni diventano neglette, pensiamo a Panorama e Generation, con uno spreco di possibilità per i produttori che portano al Festival il loro film per mostrarlo. Al di là di questo, ci siamo goduti un pallido sole e abbiamo visto tre film in Concorso.

Ci ha entusiasmato ‘Yunan’ del regista ucraino di origine siriano-palestinese Ameer Fakher Eldin, un film di finzione ambientato nel Mare del Nord. Dopo il pluripremiato ‘Al Garib’ (The Stranger, 2021), questo è il secondo capitolo della sua trilogia ‘Homeland’. Il terzo è già in fase di sviluppo. Il film ci presenta il noto autore siriano Munir (un bravissimo Georges Khabbaz) che, fuggito in Germania, dopo aver ottenuto il permesso di asilo non può più tornare nel suo paese natale. Questo lo fa sprofondare in una crisi esistenziale che lo porta a decidere di suicidarsi. Per mettere in atto il suo piano, sceglie una remota isola di sabbia nel Mare del Nord. Qui trova una disadorna e sconfortevole camera, affittatagli dall’enigmatica e anziana Valeska (una irresistibile Hanna Schygulla), una vedova che vive insieme al suo rozzo ma leale figlio, Karl (Tom Wlaschiha). Munir non riesce a suicidarsi, anzi nel rapporto con la selvaggia e intrattenibile natura del luogo comprende il senso del suo vivere solitario, acquista la sapienza del suo essere un uomo, monade nell’umanità, accetta di non avere più una terra e di essere sconosciuto in un paese sconosciuto.

‘Yunan’ è cinema allo stato puro, dove le parole servono da contorno alle portentose immagini. Non ci sono nomi da copertina, ma tra i protagonisti troviamo Sibel Kekilli, una delle attiviste più esposte nel mondo musulmano. Una sua dichiarazione contro il governo turco ha fatto il giro del mondo: “Sarei scesa in strada in Turchia proprio per questo. Per un paese che ha fondato Atatürk, ha introdotto i diritti delle donne, ha separato la religione dallo stato e ha sostenuto i bambini nei villaggi che senza questo aiuto non avrebbero mai potuto diventare medici o insegnanti”. Fare un film come questo significa sapere che si portano messaggi, non sempre graditi da tutti.

Mondi femminili

Più atteso era ‘Drømmer’ (Dreams) di Johan Haugerud, terza e conclusiva parte di un progetto iniziato proprio qui con ‘Sex‘, proiettato nella sezione Panorama della Berlinale 2024 e seguito dalla seconda parte, ‘Love’, presentata in anteprima in concorso a Venezia. Il regista ci presenta la 17enne Johanne (una bravissima Ella Øverbyesi) che s’innamora perdutamente della sua insegnante, Johanna (una intensa Selome Emnetu). Succede che Johanne racconti in forma di novella questo innamoramento con una cruda onestà di intimità cui nessuno sembra credere. Il film sposta la sua attenzione su sua madre (una brava Ane Dahl Torp) e sua nonna (una divertita Anne Marit Jacobsen) che scoprendo lo scritto, passato lo shock iniziale, vedono successo letterario e soldi e s’interrogano sul loro passato, dimenticandosi della ragazza e dei suoi sentimenti. Il regista mostra lo scarto tra questi mondi femminili, la loro lontananza profonda: al di là se quel suo scritto fosse realtà o finzione, era una questione di emozioni intime. E il finale mostra Johanne avvicinarsi a una donna lesbica più grande di lei, forse alla ricerca di un amore più grande di quello di sua madre. ‘Drømmer’ è il più ‘leggero’ dei film della trilogia e il più amaro, con i suoi sogni che cercano di fuggire a destini di solitudini e dimenticanza di emozioni.

Non oltre la superficie

Non convince proprio invece l’attesissimo ‘Kontinental ’25’ di Radu Jude, una storia macabra ambientata in un crocevia del mondo qual è Cluj in Transilvania. L’inizio è folgorante e promettente: vediamo un vagabondo senza tetto raccogliere immondizie in un parco tematico in cui i dinosauri si muovono e lanciano urla, poi lo vediamo chiedere elemosina per strada e infine ritirarsi in un fetido scantinato dove si mette a dormire. Viene svegliato d’improvviso dalla voce potente di Orsolya (una brava Eszter Tompa), l’ufficiale giudiziario che con la polizia deve eseguire lo sfratto; l’uomo chiede pochi minuti per liberare lo spazio, gli vengono concessi e lui si impicca al termosifone. Torna l’ufficiale con il suo seguito e lo trova morto. Orsolya si sente colpevole e il film segue il suo cammino alla ricerca di redenzione. La pochezza del film, anche tecnicamente, spaventa. Radu Jude non è riuscito a colorare un’opera che è restata in superficie, stancamente. Peccato. E oggi gli ultimi film: in concorso c’è anche la Svizzera.