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‘Lettere a Bernini’, opera senza genere

Il breve testo di Marco Martinelli ha il pregio dell’originalità e di una visione senza enfasi alcuna del genio dell’arte che ne è al centro

Marco Martinelli

L'autore ci offre un testo per teatro di singolare identità poetica. Al centro è la figura del geniale artista barocco Gian Lorenzo Bernini, di cui ci appare in queste pagine il carattere inquieto e spesso vistosamente risentito. Marco Martinelli, drammaturgo e regista teatrale, realizza una scena molto particolare, dove, in un agosto del 1667 (ma poi la narrazione si spinge in dettagli fino a tempi più recenti), si staglia una sola figura recitante, che viene peraltro anche a sdoppiarsi, ponendosi come lo stesso Bernini.

In ‘Lettere a Bernini’ (Einaudi, p.50), il testo è condotto secondo una forma molto particolare, in cui il respiro del racconto viene proposto prevalentemente in versi o, comunque, se non propriamente in versi, nei termini efficaci e particolari di una scrittura come scandita in brevissimi segmenti e con frequenti passaggi in dialetto, il napoletano del protagonista. Ecco allora l’ira dell’artista contro una intagliatrice di lapislazzuli, Francesca Bresciani, che ha lavorato per lui a San Pietro e lo accusa di non averlo pagato il dovuto. Molto rilevante è la presenza del grande rivale, l’architetto ticinese Francesco Borromini, fino al momento in cui questi si toglierà orribilmente la vita, gettandosi sulla sua stessa spada. Il Borromini, dunque, che Gian Lorenzo così definiva: “il mezzo svizzero / Quello che non parla / Che si esprime a monosillabi / cupo / Trisste”

Ma la collera facile a cui si abbandona Bernini coinvolge anche la sua sfera privata, come nel fatto riguardante la da lui amata Costanza, per il suo tradimento con il fratello, che arriva quasi a uccidere. Il nostro personaggio, peraltro, non manca di una sua sottostante, semplice consapevolizza o saggezza dell’esistere, che magari esprime così: “Abbiamo tutti sgomitato su questa terra / Ci siamo accoltellati / Per un lavoro / Per una lode / Per una commissione in più…e poi?”.

Il lettore può liberamente immaginarsi lo svolgersi della vicenda narrata dal doppio personaggio ideato da Martinelli per la scena. Ma questo breve testo ha sicuramente il pregio dell’originalità e di una visione senza enfasi alcuna del genio dell’arte che ne è al centro. Un’opera, insomma, che possiamo facilmente definire senza genere, oltre un’idea precisa di genere, almeno, in cui sulla pagina la complessa identità molteplice dell’artista che ne è al centro arriva con successo al lettore, portandolo poi, una volta raggiunta l’ultima pagina, l’ultima scena, a ritornare su alcuni suoi passaggi essenziali per meglio assaporarli.