Nel suo quarto romanzo, l'autrice irlandese esplora, attraverso due fratelli, le contraddizioni della mascolinità contemporanea
C’è una certa fatica nel parlare di Sally Rooney. Non perché manchino le parole – quelle abbondano, e molte sono già state scritte – ma perché ogni discussione sembra destinata a polarizzarsi in un dibattito acceso. La sua ascesa come autrice è tanto celebrata quanto messa in discussione. Da una parte l’apoteosi della “voce di una generazione”; dall’altra, chi la considera una creatrice seriale di romanzi per donne bianche e borghesi. Leggere ‘Intermezzo’, il suo quarto romanzo, significa dunque esporsi a questa dicotomia. Ma forse non c’è bisogno di scegliere una curva da cui tifare.
‘Intermezzo’ si presenta fin da subito come un lavoro che conserva la firma di Rooney, ma introduce un cambio di prospettiva. Ritroviamo relazioni ingarbugliate, dolore come cifra stilistica e un’Irlanda così vivida che sembra di sentirne l’odore di pioggia e muschio. Ma la novità è nel cambio di registro: per la prima volta, Rooney abbandona il punto di vista femminile per affidare il racconto a due voci maschili, Peter e Ivan Koubek, fratelli uniti e divisi da un rapporto teso e ingarbugliato. La loro dinamica – quel braccio di ferro tra il maggiore e il minore che chiunque abbia fratelli conosce bene – scompone la comfort zone narrativa dell’autrice. Peter e Ivan non sono semplicemente uomini; attraverso di loro, Rooney esplora le contraddizioni della mascolinità contemporanea: fragile, violenta, intrinsecamente contraddittoria.
Peter, avvocato trentaduenne, è un compendio di successo apparente e fallimento interiore. Diviso tra Sylvia, l’ex fidanzata che vive con una disabilità dopo un incidente, e Naomi, una squatter che sembra rappresentare tutto ciò che lui non è. Peter è un uomo bloccato, incapace di affrontare le sue emozioni, figuriamoci di gestirle. È il classico personaggio “rooneyano”: ossessivo nell’autoanalisi, ma completamente disconnesso dall’azione.
Ivan, il fratello minore, è un prodigio degli scacchi e un genio introverso che sembra applicare la logica del gioco a ogni aspetto della vita, con risultati disastrosi. Rabbioso, insicuro, consumato da un senso di inadeguatezza, la sua relazione con Margaret – una donna più grande che sta affrontando la fine di un matrimonio violento – lo avvia a un percorso di apertura, ma le sue barriere emotive e una misoginia latente lo intralciano. Ivan è difficile da amare, impossibile da ignorare, e Rooney non cerca mai di renderlo più simpatico di quanto meriti. Insieme, Peter e Ivan incarnano due archetipi di mascolinità moderna: uno che si aggrappa disperatamente al controllo, fallendo in ogni tentativo, e l’altro che si abbandona al caos.
La scrittura di Rooney raggiunge una maturità stilistica che si riflette nel ricorso al flusso di coscienza, anche se a volte sembra indulgere troppo nel suo stesso lirismo, rallentando l’azione e mettendo alla prova la resistenza del lettore. La trama si muove come una partita a scacchi, con ogni mossa influenzata tanto dal passato quanto da un futuro incerto. Ma Rooney non concede mai la soddisfazione di uno scacco matto. I suoi personaggi continuano a spostarsi sulla scacchiera, senza mai raggiungere una vera conclusione. Non sono le grandi azioni o i colpi di scena a guidare la narrazione (sebbene ci siano, ma quasi come un brusio di fondo), bensì i dettagli: un gesto trattenuto, uno sguardo sfuggente, un dialogo che sembra risolversi ma lascia un retrogusto di ambiguità.
Sarebbe facile ridurre ‘Intermezzo’ a un “chick lit intellettuale”, come piace definirlo ai critici. Certo, l’amore c’è: romantico, sessuale, fraterno. Ma c’è anche la sua assenza, e il vuoto che lascia. La morte del padre dei Koubek, che apre il romanzo, non è solo un lutto personale, ma una frattura che altera ogni relazione. Il dolore diventa una lingua che i personaggi non riescono a parlare, mentre l’amore, da solo, non è mai sufficiente a riempire i vuoti.
Come nei lavori precedenti, Rooney intreccia il personale con il politico. Naomi incarna la crisi abitativa di Dublino; Ivan si dibatte tra precarietà economica e isolamento emotivo; Margaret lotta con il giudizio morale che segue la fine del matrimonio. La visione dell’amore dell’autrice non è quello fiabesco raccontate da copertina pastello, ma ricorda che, per quanto necessario, l’amore non può risolvere le disuguaglianze sistemiche che gravano sui suoi personaggi.
C’è una tensione palpabile tra ciò che ‘Intermezzo’ è e ciò che ci si aspetta che sia, amplificata da una promozione che evoca i fasti dei capitoli finali di saghe come ‘Hunger Games’ o ‘Harry Potter’. Inevitabilmente, ci saranno lettori che lo troveranno troppo lungo o frammentato. Eppure, è innegabile la qualità con cui Rooney cattura la complessità dell’esperienza umana, intrecciando momenti di intima bellezza a riflessioni sulla società contemporanea. L’autrice irlandese non cerca di confezionare una storia per ottenere cinque stelle su Goodreads, ma disossa l’esperienza umana, ne espone le crepe e ci invita a confrontarci con ciò che vediamo riflesso in esse.
‘Intermezzo’ non è un romance né una saga familiare: è un romanzo sulle perdite, sulla fine della giovinezza, l’abbandono delle illusioni e la disintegrazione dei legami.