I 166 temporali di Lauriane Galtier, un sonetto di Mark Zuckerberg, concetti di libertà e altre parole stampate nel novembre che va in archivio
Adrenalina. Lauriane Galtier fotografa tempeste da quando aveva sette anni. Fu un vero trauma: la casa inondata, la necessità dei soccorsi. “J’ai tout de suite voulu comprendre ce qu’il s’était passé”. Lo racconta in un’intervista al Figaro Madame. Con la guida quotidiana del meteo televisivo ha iniziato a catturare tutte le tormente a portata di mano, prima dal balcone di casa poi inseguendole con la bicicletta. Sono passati trentasei anni da quel giorno – la notte tra il 2 e il 3 ottobre 1988 – e non ha ancora smesso. Gira la Francia e il mondo alla ricerca di nubifragi, sicura di trovarne e di non rimanerne delusa. Con tutte le precauzioni necessarie grazie al diploma di meteorologa. Rimpiange di non vivere negli Stati Uniti dove il fulmine nasce dai cicloni, aspettati con ansia soltanto dai fotografi. I quali possono vivere, quasi, di quel solo frammento del loro lavoro. Per Lauriane invece è un secondo lavoro e una necessità. Forse una ragione di vita. Alcuni mesi fa è uscito il libro che raccoglie 166 dei temporali fotografati: Traqueuse d’orages. Il porsi a una certa distanza, in realtà, la rende una paesaggista. “Ho scelto di basare il mio lavoro sui paesaggi, avere piani lunghi che comprendono le nuvole, la loro struttura, la pioggia e il fulmine se c’è”. E così racconta dei colori che il lampo assume secondo gli elementi che attraversa: “Bianco nell’aria secca, giallo in presenza di una gran quantità di polvere, rosso in caso di pioggia e blu nei giorni di grandine”. I paesaggi cambiano, quel che non cambia è che sai cosa fare. Non dovrai scegliere il soggetto: paesaggio con tempesta. Un gesto che iniziò esorcistico e l’esorcismo poi ti cattura. La possibile terapia diventata malattia. Così accadde a lei. Per gli altri “più di diecimila” che girano la Francia in cerca di stravolgimenti atmosferici, bisogna considerare caso per caso. A volte trova una vera folla ad aspettare, sicché fa manovra e se ne va. Lei è al riparo dai pericoli e sa cosa fare (“e non mi allontano mai dalla macchina”). Degli altri non si può essere altrettanto sicuri. Perché una ragione essenziale in questo genere di cacce, insieme al cogliere l’immagine ad effetto, è la ricerca dell’ambita, stimatissima adrenalina.
Keystone
Sono Mark Zuckerberg, lo giuro
Parla Mark Zuckerberg. Non saranno le maggiori canaglie, ma i più noti tra le maggiori canaglie, nel novero dei mercanti (poi c’è quello dei governanti; l’altro dei criminali propriamente detti, puri). Mi riferisco a Bezos, Musk e Zuckerberg. Ora vedremo Musk, che ricopre i ruoli di mercante e governante, cumulare le carognate che compirà nell’un campo e nell’altro. Nei versi che seguono Zuckerberg parla dei tre agli altri due. Il sonetto non doveva uscire, ovviamente, dalla breve cerchia o dal triangolo. Ma è uscito.
Felice di cambiare le mie chiome
secondo che mi ispiri a manca o a destra
mi fa piacere di notare come
anche voi due la convenienza addestra
a saltellare avanti e indietro in nome
di quella libertà che ci sbalestra
alla democrazia senza più dome...
demo, pardon. La mente mi sfinestra
a quando il politicar non era tale
d’essere affare di tre o quattro lenze;
non era ancora un fatto prima anale
e poi, via via, secondo le occorrenze.
Jeff badava ai suoi pacchi, Elon all’ale
dei razzi suoi e io alle plusvalenze.
Ci bado ancora, e ci badate voi.
Ci bada lui, qui, dietro di noi.
*****
Cos’è la libertà. Il Washington Post riprende a fare quello che pare meglio ai suoi redattori. E il proprietario Jeff Bezos forse ha meno potere di quel che crede. Ha provato a esercitarlo di forza a pochi giorni dal voto americano, imponendo di non pronunciarsi. Cosa che il Post aveva fatto in realtà fino al richiamo patronale. E magari anche dopo, fra le righe. Lo spirito soffia dove vuole e la libertà, in un giornale di valore, si aggira intravista. Leggerà Bezos il Post tutti i giorni, dal primo all’ultimo rigo? E quando si imbatte nella libertà, la riconosce? Ha ripreso a fare quello che vuole Ann Telnaes che disegna, due giorni dopo il voto, la statua della libertà, scesa dal suo piedistallo, che si allontana con la fiaccola spenta e un trolley. Sotto il titolo: “The end”.
Come non esiste il coraggio ma atti di coraggio singoli, così esistono atti di libertà. E reciprocamente atti di omissione, sottomissione, più frequenti e invisibili. “Il sorriso forzato è una prostituzione dell’anima”, ha scritto il colombiano Gómez Dávila che era un po’ rigido. Ma forse aveva ragione. A tacere del fatto che il sorriso forzato è per noi un atto riflesso, naturale, per niente forzato. Della libertà abbiamo una conoscenza frammentaria, quasi una conoscenza inconsapevole. E la pratichiamo frammentariamente. Secondo un filosofo greco la filosofia è poter parlare di qualsiasi tema con qualsiasi persona. Forse anche la libertà è questo. Esprimere liberamente il proprio pensiero. Ma ci sono dei limiti? Collocati da cosa, da chi? Pochi ne sono capaci, se lo stesso Tolstoj confessava di non poter liberarsi del pensiero del giudizio degli altri su di sé.
La libertà cresce quando diminuiscono i timori? Temiamo per la nostra reputazione e serenità. Finché persistono i timori, ci impegniamo in pericolosi esercizi di auto-censura. Usi da governi tirannici applicati a noi stessi e tutto da soli.
Keystone
Miss Liberty
L’esempio viene dall’Est. La bella piuma azzurra che incrocia la “F” di Figaro, blu. Il motto di Beaumarchais sotto: “Senza la libertà di biasimare, anche la lode non lusinga”. La chiarezza dell’impaginazione che ha nella monotonia il solo difetto. Questo può attrarre del quotidiano francese. Quanto ai contenuti, basta leggere poco di politica interna. Sul resto l’aura conservatrice, se va bene, e reazionaria se male, alita con meno vigore. E “il resto” può essere la sezione degli esteri, quella della cultura o della società, delle scienze, delle opinioni perfino.
Sfoglio lentamente il Figaro Magazine e trovo, girata la copertina: un orologio; un modello con orologio; logo della Renault; una R5 blu; belle sedie; un orologio; il sommario; bei gioielli a forma di fiore; un orologio e finalmente l’editoriale: “L’exemple vient de l’Est”. L’immagine del direttore Guillaume Roquette e sotto l’articolo su due colonne. L’inizio è di quelle frasi che si scrivono, chi le scrive, mentre cerchi la prima frase: “L’iniziativa ha sorpreso più di uno”. In realtà non sorprende nessuno un primo ministro – il polacco Donald Tusk ma poteva essere un altro – che vuole sospendere “parciellemente” il diritto d’asilo per gli immigranti entrati illegalmente. Seguono lodi della Polonia, della Cecoslovacchia e dell’Europa dell’Est in genere, che, grazie a questa sola coraggiosa richiesta, vedono già migliorate, prima che sia accolta, la propria economia (qui cinque centimetri di dati) rispetto a quelle di Francia, Spagna, Italia, Germania. L’esempio da seguire, all’inizio dell’editoriale è la Polonia, alla fine l’Italia. Analisi politica con l’accetta, pacata, con un paio di stizze ben collocate.
*****
Intrattenimento. “Nell’ultima settimana ho cominciato due serie televisive e letto un romanzo. In tutte e tre c’era uno stupro. La violenza sessuale si è infiltrata nella nostra quotidianità dalla porta dell’intrattenimento. La violenza contro le donne fa da sfondo, nei televisori delle nostre case, mentre prepariamo la cena o parliamo. Dieci anni fa una violenza sessuale sullo schermo mi produceva una profonda sensazione di impotenza, rabbia e tristezza, fino al punto di provocarmi nausea. Adesso, invece, mando giù quelle scene insieme alla frittata della cena”. (Elena Morales Cendrero, Siviglia - El País, Lettere alla direttrice)
*****
Inchiostro. Oltre la vetrina ippocastani e un palazzo color granata. Sulla vetrina Audrey Hepburn nel gesto di fumare una sigaretta senza fine. Che stia preparando un articolo per l’anniversario di Truman Capote e sia finito in una caffetteria che si chiama Colazione da Tiffany, è un caso. Entrato in un bar i sensi cominciano ad esserti compagni, i nervi si sciolgono assorti nella visione della strada, al sicuro. Musica bassa e zuccheri dal vario sapore. Caffè col suo potere di lievemente eccitare. Latte in luogo di blando calmante. L’ideale, quindi, sarebbe caffè e latte insieme, antica invenzione. Voci, se va bene anch’esse basse. La vetrina rende visibile e innocuo il mondo di fuori. La forma, quindi la sostanza, del bar è lavorata dai secoli come la forma di questo cucchiaino e questa tazza. Come la forma interna del quotidiano, sul tavolo accanto, che però quel mondo te lo versa addosso, senza protezioni. Meglio non aprirlo, ed eviterai anche il fastidio di sporcarti le mani. Qual era il giornale che macchiava di più, quando c’erano solo quelli di carta? Forse è bene che ti anneriscano le dita, altro vantaggio della carta e dell’inchiostro sullo schermo, che siamo noi a sporcare. In quell’acqua grigiastra, dopo, sembra che scorra via tutto il male, per usare una parola sola, che ti si è attaccato. Kafka scrisse un giorno, più o meno: oggi mi sono annoiato così tanto che ho dovuto lavarmi le mani tre volte. Oggi ho letto così a fondo il giornale... Non aprirlo e questa semplice caffetteria sarà anche più di quello che cerco di esprimere. Puoi vedere le chiome degli alberi, il cielo sopra le chiome, il passero che zampetta sul marciapiedi. Ti domandi se il luogo in cui ti trovi sia un dentro o un fuori. Forse è un limite, un confine.
*****
Martini dry. La pietà per la fragilità delle cose, delle persone. Come se ne può prescindere? Pietà per ogni cosa fragile indifferentemente. Per l’insetto che scappa perché vuol difendere la sua vita, come te. Pietà che va da te, dove sta più del dovuto, agli altri senza differenze. Si comincia ad essere maturi, forse, quando si diventa compagni della tenerezza. E il rigore e la paura, la tensione verso la giustizia, l’ansia e il fastidio, la noia, la durezza, tutto è per te dentro la tenerezza.
Anche al giornalismo si può applicarlo, nel modo in cui lo riassume Manuel Alcántara: “Nel cocktail ideale dell’articolo, a parte la capacità di osservazione, a parte una certa esperienza della vita, è molto importante una goccia di tenerezza, come nel Martini dry, una piccola goccia, che non mascheri il gin.”
Keystone
Audrey Hepburn