Dalla penna storica di Repubblica la figura di Ossip Bernstein, formidabile giocatore di scacchi ebreo
Penna storica de ‘la Repubblica’, Enrico Franceschini è stato inviato per il quotidiano romano a New York, Washington e Londra. Per qualche tempo di stanza anche a Mosca, ha così avuto modo di scoprire la figura di Ossip Bernstein. Un formidabile giocatore di scacchi ebreo, conteso a inizio ’900 dalle competizioni più importanti sparse in Europa, negli USA e naturalmente nel suo Paese: l’Ucraina. O per meglio dire lo sterminato Impero degli Zar. Franceschini gli dedica una biografia qua e là romanzata, non spingendosi tuttavia sino a stravolgere la Storia. Sullo sfondo delle vittorie di Bernstein e dei suoi drammi personali incontriamo infatti personaggi poi divenuti ben noti. Come quel simpatico pittore incontrato a Parigi, Moshe Segal, il quale si ostina a dipingere capre e violinisti volteggianti nel cielo azzurro.
Tra le altre celebrità, ecco comparire sin dall’incipit Anastas Mikoyan (1885-1978), l’uomo politico d’origine armena rimasto più a lungo ai vertici dell’Unione Sovietica: l’esordio con Lenin già nel 1905, sopravvive alle purghe staliniane e diventa infine il braccio destro di Nikita Krusciov. Dopo l’era del georgiano Stalin, la grande URSS – annota Franceschini – per oltre un decennio è stata guidata da un armeno e un ucraino. Mikoyan è protagonista della prima scena dipinta dal libro, un abbrivio che ricorda da vicinissimo quello de ‘La variante Lüneburg’ di Paolo Maurensig, pubblicato nel 1993: in entrambi i casi c’è un prigioniero condannato a morte e già davanti al plotone d’esecuzione (bolscevico per Franceschini, nazista per Maurensig) quando viene miracolosamente salvato dalla magia degli scacchi.
Nato nel 1882 a Zitomir (Ucraina centrale) da un’agiata famiglia attiva nel commercio e nella finanza, torna da Heidelberg con la laurea in giurisprudenza. Si è già fatto un nome nel mondo di torri alfieri®ine e ha accumulato il suo primo importante capitale, quando i bolscevichi tolgono ogni ricchezza ai Bernstein. Si rifugiano in Germania, passando per località sconosciute sino a pochi mesi fa e oggi tristemente famose quali teatro delle imprese delle truppe putiniane. La vita di Bernstein, nel frattempo sposatosi con la bella e dolce Vilma – conosciuta in un bordello – diventa un gioco a rimpiattino con diversi quanto feroci persecutori: detto dei bolscevichi, ecco i nazisti, che depredano i Bernstein sia a Berlino, sia in Francia dove avevano trovato precario rifugio. A Parigi, purtroppo, il maggiore dei loro due figli sarà vittima di una retata della Gestapo. Non lo rivedranno mai più.
Sopravvissuti al secondo conflitto mondiale, Ossip e Vilma trovano finalmente pace sul versante francese dei Pirenei, nel villaggio di Saint-Arroman. È lì che ricevono aggiornamenti sulla folgorante carriera diplomatica del loro secondogenito Isacco presso l’ONU. Quando Mikoyan scopre la sua ascendenza, l’ormai vecchio politico armeno non resiste alla tentazione di vedere Ossip un’ultima volta. Questi sta per morire, siamo nel 1962 e c’è la crisi di Cuba. Mikoyan cerca di strappargli un sorriso spiegandogli che sta lavorando a una “patta” tra USA e URSS. “Cosa sono gli esseri umani se non pedine sulla scacchiera dell’universo?”.
‘La mossa giusta’ è un racconto intrigante, la penna di Franceschini scorre veloce e talvolta avvincente. Peccato per tre sviste grossolane e sfuggite all’autore, agli editor della Baldini+Castoldi e ai correttori di bozze (forse nel frattempo sostituiti dall’IA?). Passi confondere Ingrid con Ingmar Bergman; più grave scrivere che la Loren fu la prima attrice non statunitense a vincere l’Oscar, dimenticando Anna Magnani, la quale oltretutto se l’aggiudicò senza avere alle spalle un produttore potente come Carlo Ponti. Imperdonabile addirittura ricordare “quel tenebroso giorno del 1940, quando Israele aveva condannato a morte e impiccato Adolf Eichmann, l’architetto della soluzione finale”. Lo Stato di Israele nacque nel 1948, Eichmann finì sul patibolo nel 1962.