Dal Concorso Cjaikowskij ai palchi di tutto il mondo, dalla pioggia della Parigi olimpica all’Osi al Lac del 7 novembre (anche nei panni di Liszt)
Gli appassionati di sport potrebbero ricordarlo la scorsa estate ai bordi della Senna mentre Giove pluvio innaffiava la cerimonia di apertura degli ultimi Giochi olimpici. Gli appassionati del pianoforte, oltre che soffrire per il gran coda nero esposto alle intemperie atmosferiche, lo conoscono quale grande talento francese lanciato dal Concorso Cjaikowskij di Mosca del 2019. Domani alle 20.30, Alexandre Kantorow sarà tra i protagonisti di Osi al Lac, con l’Orchestra della Svizzera italiana diretta dal connazionale Jérémie Rohrer per un viaggio in tre tappe: Le Ebridi di Felix Mendelssohn, ouverture da concerto in si minore op 26, il Secondo concerto per pianoforte di Franz Liszt, con Kantorow solista, e La baiser de la fée (Il bacio della fata) di Igor Stravinskij, nella seconda parte. Aspettando il concerto, incontriamo Kantorow, 27enne Chevalier de l’Ordre des Artes.
Posso chiamarla Alexandre o preferisce Franz, visto che l’hanno definita la reincarnazione di Liszt?
Va bene Alexandre. La definizione viene da un commento divertente fatto una decina di anni fa da un giornalista. Amo Liszt con tutto il cuore, credo sia una delle figure più interessanti del periodo romantico, è rimasto curioso per tutta la sua vita, quando in tanti perseguivano un obiettivo soltanto. Era un pianista incredibile, ha iniziato a comporre molto giovane, ha preso lezioni di musica in tutta Europa per poi mettere in pratica tutto quanto aveva imparato. Quel commento è risultato piacevole, ma la mia relazione con Liszt non potrà mai andare oltre l’accostamento con una mia abilità pianistica nel suonarlo.
Ha parlato di curiosità e abbiamo appena finito di scrivere di Quincy Jones che scoprì il pianoforte dentro un’armeria abbandonata e volle subito saperne di più. Armerie a parte: è successo così anche a lei?
Il bello del pianoforte, a differenza di un violino o di un violoncello, è che spesso è a disposizione di tutti, nei luoghi più disparati. Io sono stato fortunato per essere nato in una famiglia che ne possedeva uno e ho cominciato da subito a costruirmi un rapporto con quello strumento, che produce in chi lo suona una sensazione immediata che conduce sino alle basi della musica: al pianoforte puoi suonare accordi e dunque armonie, oppure melodie, mentre su altri strumenti l’attenzione si sofferma sulla costruzione di un suono. Ho provato a suonare il violino perché i miei genitori erano violinisti, ma il pianoforte è stato una scelta immediata, anche per questioni di lettura, per queste piccole figure nere sulla partitura, ognuna riconducibile a un singolo tasto. Ho amato subito questo gioco, per spingermi poi fino alle questioni interpretative. È passato del tempo prima che in me maturasse l’idea di farne una professione, il tempo necessario per cementificare questo amore per lo strumento e per la musica.
Una vittoria così perentoria al Concorso Cjaikowskij, all’età di soli 22 anni, come l’ha cambiata, se l’ha cambiata?
Ci si prepara tanto per la competizione, ma non ci si prepara mai per quel che può accadere una volta conclusa. Ho capito il giorno dopo che le cose sarebbero cambiate, ma prima sono dovuto uscire da quel tornado di emozioni, di nuovi incontri, di richieste di concerti nel breve e nel lungo periodo. La cosa strana di un’occasione come quella è che nel momento in cui ricevi la gratificazione per tutto il lavoro fatto in quella direzione non hai il tempo necessario per goderti l’attimo. Solo alcuni mesi dopo ho percepito la vera reazione emozionale alla vittoria di quel contest, che in effetti è risultato essere un vero punto di svolta della mia carriera e della mia vita.
Siamo abituati a Chevalier de l’Ordre des Artes di una certa età, forse per l’idea preconcetta che il premio sia il coronamento di una carriera. Quanta responsabilità sente per un tale riconoscimento?
Tutti i premi portano con sé responsabilità, a partire dal Cjaikowskij, che è un premio ma anche il riflesso di una leggenda. Il premio è una conseguenza delle tue azioni, del tuo suonare, è la testimonianza di un valore che ti viene riconosciuto e per il quale a ogni nuovo concerto devi dimostrare che chi ti ha voluto premiare ha fatto la scelta giusta. Io credo comunque che un artista, per essere vero sul palco, debba prestare attenzioni minime ai riconoscimenti e al giudizio altrui. Credo che la parte migliore sia quella del dare più che del preoccuparsi di ciò che si riceve.
Dove tiene i premi? Nel salotto di casa o in una stanza segreta come Morricone?
Sono i miei genitori a custodire tutti i miei premi, in casa. C’è uno scaffale, stanno lì sopra, insieme ai libri. Lo fanno con tanto amore e orgoglio, i miei genitori mi hanno concesso di fare il viaggio che volevo, da solo, e torno da loro ogni volta che posso.
Non possiamo esimerci dal chiederle delle Olimpiadi. A Parigi, i giochi d’acqua (Jeux d’eau) di Ravel non erano una fortuita coincidenza, dica la verità…
Non era causale, certamente. La scelta si deve all’ideatore della cerimonia, che ha chiesto esplicitamente l’esecuzione di quel pezzo. Io ho accolto con piacere l’idea, che è poi andata in scena in maniera molto rispettosa per la tradizione musicale francese e per quell’evento piovoso in pieno luglio, che ha creato un certo senso di panico negli organizzatori e allo stesso tempo un forte senso di solidarietà, spingendo tutti a dare il massimo.
È la prima volta con l’Osi?
Sì, è la prima volta. Sono molto felice di scoprire un’orchestra nuova, Lugano è un luogo di grande musica e mi fa piacere esserne parte per una sera. Ritrovo con piacere Jérémie Rhorer, con il quale ho suonato più volte, ci conosciamo molto bene e so che saremo in grado di fare buona musica e portare ognuno buone idee. Il Concerto per pianoforte e orchestra n.2 di Liszt è una composizione speciale, che concede molte possibilità all’orchestra e a specifici strumenti come il violoncello, l’oboe, il flauto. Non vedo l’ora.
In quale altro pianista o compositore vorrebbe reincarnarsi?
Brahms, un perfezionista, rappresenta una sorta di balance ideale, un equilibrio tra passato e presente, per quel guardare alla tradizione classica e a Beethoven in particolare nel modo di costruire organicamente grandi composizioni, nate da piccoli temi che si sviluppano lentamente, come un puzzle che progressivamente si rivela. Amo diversi compositori della storia, ultimamente mi sono calato nella musica di Nikolaj Medtner, compositore russo amico e contemporaneo di Rachmaninov, una fusione di Bach, Beethoven, Chopin e un poco di impressionismo, un insieme di ingredienti che lo rende unico.
Per finire. La sua giovane età la porta anche nei pressi di musica non classica?
Amo il progressive rock, ha molto in comune con i grandi compositori della storia, per la lunghezza delle composizioni, che a volte sono sinfonie, rapsodie. Benché tanti musicisti classici si appassionino al jazz, io prediligo questa forma, che ha il suo ‘core’ nel rock. Aggiungo Bowie e Lou Reed.