‘Cinquanta lune’ di Maria Rosaria Valentini affronta con forza emotiva e narrativa il tema dell’identità e della ‘diversità’ femminile
Quello di Maria Rosaria Valentini è da tempo un nome importante della nostra letteratura. Narratrice e poeta nata in provincia di Frosinone ma da tempo residente in Ticino, Valentini vanta ormai una consolidata e significativa bibliografia fatta di opere diffuse da editori ticinesi e italiani di rilievo, da Dadò e Capelli a Sellerio, Keller e, ora, Castelvecchi di Roma che ha fatto uscire il suo ultimo romanzo intitolato ‘Cinquanta lune’.
Fra Svizzera e Italia si muove non solo la biografia personale e culturale dell’autrice, ma anche questo suo libro che parte e finisce a Spilunga, immaginaria località nei pressi di Roma, ma si ambienta in misura importante in Ticino dove nasce, nel 1930, una bimba di nome Coralla, figlia di Fiorina, emigrata al nord per trovar lavoro. Coralla è la nonna della protagonista del romanzo, che ha un nome del tutto particolare, Gì, e che è l’io narrante di un’intensa storia di radici familiari recuperate attraverso le vicende di quattro generazioni di donne. Vicende che si susseguono ma anche si intrecciano, come a dire che esiste un misterioso e sottile filo rosso che percorre queste travagliate esistenze fino alla nascita della figlia di Gì, chiamata Verde, il colore più bello, quello del corallo del Mediterraneo.
Si compie così una parabola di cinquanta lune, quelle necessarie perché cinque donne diventino madri: “Si dice che per una gravidanza siano necessarie dieci lune. Dal concepimento alla nascita passano dieci lune, sembra. Allora rincorro calcoli e conto” ci dice Gì quasi in chiusura del libro. “Dieci lune per Fiorina, dieci per nonna Coralla, dieci per mia madre [Cora], dieci per me, dieci per Verde. Fanno già cinquanta… Cinquanta lune dentro di me. E tanta luce mi attraversa”.
Una luce particolare emana, nella vita di Gì, dalla storia e dal rapporto profondo con nonna Coralla, tornata ancora giovane al paese d’origine dopo la morte della madre, accolta dagli zii come una figlia, ma con tutte le difficoltà che insieme dovranno affrontare per darle un lavoro di insegnante presso un istituto di suore proprio mentre lei si accorge di essere incinta. Del padre del nascituro nessuna notizia, Coralla non vuole neanche nominarlo. Se n’è andato com’è venuto, in una notte di luna (forse).
Sfidando un mondo rurale fatto di pregiudizi e ostilità per questa sua condizione di ragazza madre, Coralla appare agli occhi della nipote Gì come una figura straordinaria di donna che affronta la vita, anche nei momenti più bui e difficili, con forza e coraggio, la forza e il coraggio delle donne. Così, è in questo sottile ma fortissimo legame che accomuna Coralla e la nipote, che prende forma la decisione di Gì di volere un figlio, anzi, una figlia, e di volerla generare da sola, attraverso l’inseminazione artificiale, cui ricorrerà andando in Danimarca (uno dei non molti Paesi in cui questa pratica è consentita). Gì è single, ha avuto qualche vaga storiella sentimentale, e a trentanove anni sente il desiderio profondo, la necessità, di diventare madre. Lavora come disegnatrice di scarpe, ma la sua vera e più autentica ambizione è quella di disegnare i propri sogni e dar corpo (letteralmente) alla propria storia di donna e di madre, affrontando a sua volta non pochi pregiudizi e ostacoli. Ha, fortunatamente, un grande amico, Bixio, che le starà accanto nel complicato periodo della maternità e la sosterrà in ogni modo fino alla nascita della piccola Verde e poi anche oltre (chissà).
‘Cinquanta lune’ è un romanzo di grande forza emotiva e narrativa, che affronta anche un tema particolarmente delicato e controverso com’è quello dell’inseminazione artificiale, ma che ci offre soprattutto, nel suo complesso, un racconto appassionante e coinvolgente di vicende declinate al femminile, che sanno toccare senza alcuna propensione all’enfasi, in modo coinvolgente e naturale, il tema dell’identità e della “diversità” femminile nell’alternanza di dubbi, certezze, sogni, e una realtà da affrontare fino in fondo ogni giorno.
Valentini scrive davvero bene, ha una padronanza rara e notevolissima delle parole, quelle che lei stessa definisce “necessarie” e che sono spesso evocative per dire, con una progressiva approssimazione, delle atmosfere, degli odori, dei sapori che accompagnano la storia e la memoria di Gì. Come l’autrice ha avuto modo di affermare qualche tempo fa in un’intervista televisiva, nella sua scrittura cerca e utilizza costantemente una lingua che corteggia la natura, la spia e la racconta. In questo libro, è una ricerca e un’attitudine attribuite, fra l’altro, esplicitamente a nonna Coralla, che nel suo periodo di insegnamento aveva ben chiaro cosa volesse trasmettere agli allievi: “Che imparino a riconoscere i sassi, le piante, gli insetti, i pesci […] che imparino a identificare profumi: quello delle viole tra i prati, sì, ma pure quello dell’aria nel primo mattino o quello delle ringhiere bagnate dalla pioggia”. Nei propri giovanissimi alunni, la nonna di Gì cercava di stimolare la curiosità combinandola con la sua, insegnando loro persino il silenzio. Quel silenzio che si impone anche alla lettura di questo notevole romanzo, perché si sappiano assaporare ricordi e profumi, ogni dettaglio, insostituibile e necessario, appunto, che fa diventare unica e indimenticabile una storia di vita vera come quella di Gì e di nonna Coralla.